Piccoli cestisti crescono
Il progetto “Camminare Insieme” della Federazione Italiana Pallacanestro ha portato giovedì scorso al centro sportivo Gavagnin decine di ragazzini .
Il progetto “Camminare Insieme” della Federazione Italiana Pallacanestro ha portato giovedì scorso al centro sportivo Gavagnin decine di ragazzini .
Giovedì scorso, il CUS Verona Minibasket ha ospitato un evento particolare, invitando altre realtà importanti sulla piazza: la formazione Minibasket mista di Tezenis e le bambine dell’Alpo Basket 99. Il bel progetto della Federazione Italiana Pallacanestro che li ha portati tutti al centro sportivo Gavagnin si chiama “Camminare Insieme” e vede coinvolto in prima persona il massimo esponente nazionale del settore Minibasket in FIP, Maurizio Cremonini – che porta il suo messaggio educativo e sportivo in giro per tutta Italia –.
Durante la lezione “fisica” di basket, Cremonini coordina il lavoro degli allenatori presenti con garbo, propone giochi nuovi e prospettive diverse ai soliti esercizi. Si passa poi alla fase educativa, richiamando tutti i piccoli (dai 4 agli 11 anni) e relativi genitori al centro del campo per condividere il momento. Con i suoi modi calmi riesce nel miracolo di portare silenzio in palestra, catalizza l’attenzione dei bambini interagendo direttamente con loro, facendo domande e senza ridere (o quasi) alle risposte innocenti che riceve.
Maurizio, raccontaci un po’ di questa tua esperienza a spasso per l’Italia, presso tante realtà sportive interessanti e intelligenti, come il CUS Verona.
«È bellissimo, non giro l’Italia cercando talenti, voglio sia messo in chiaro da subito, ma portando avanti un’idea in cui credo molto: rimettere al centro del mondo sportivo i bambini, in un programma che alleni il loro corpo, certo, ma anche e soprattutto l’attenzione, la prima funzione cognitiva, indispensabile a migliorare in tutto il resto. Coltivare l’attenzione dal basso, rendendosi interessanti agli occhi dei bambini, creando spazi e attività accattivanti, porta immensi benefici anche alle altre due caratteristiche che vanno allenate: tecnica e impegno.»
Vedere questi cuccioli in una divisa ben più grande di loro, con la canotta alle ginocchia che veniva rimboccata dagli allenatori, mi ha fatto venire un dubbio: non sarà troppo presto?
«Assolutamente no, e per diverse ragioni. Una riguarda la società in cui viviamo, dove i bimbi passano molto più tempo in casa che a correre nei campi; ne risulta, e sono dati ufficiali, un impoverimento oggettivo delle capacità atletiche dei ragazzi. A questo si aggiungono le difficoltà – anche queste oggettive – a far comprendere alle scuole primarie l’importanza dell’educazione fisica, relegata quando va bene a un’ora alla settimana, e sempre per buona volontà dei maestri. Iniziare uno sport presto e dare continuità all’allenamento sono le nostre armi per compensare questa carenza. Sotto il profilo strettamente fisico, di fatto la coordinazione si può allenare e migliorare solo fino ai 10-11 anni, quindi prima si comincia e maggiore sarà il beneficio per il perfezionamento della tecnica del futuro atleta.»
Ho avuto l’impressione che la lezione fosse strutturata su più livelli, uno per i bimbi e uno per i genitori. Quando raccontavi della punizione esemplare al bimbo che aveva preso un brutto voto, cioè andare a Minibasket ma stando seduto senza giocare, mi è sembrato un messaggio chiaro a quei genitori che puniscono togliendo lo sport.
«La crescita di un bambino si può immaginare come una torta, i cui ingredienti sono la famiglia, la scuola, lo sport, gli amici, il parco giochi… se manca un ingrediente o ne metti troppo la torta potrebbe venire buona ma non buonissima, oppure anche una schifezza. Credo molto nell’equilibrio tra tutte le componenti, nella collaborazione e condivisione; noi allenatori, così come gli insegnanti, vediamo il bambino ognuno sotto una luce leggermente diversa e il bambino stesso si pone in modo nuovo quando non è in famiglia. Da genitori, accogliere tutti i suggerimenti, imparare ad ascoltare anche versioni inaspettate del proprio figlio, è di grande aiuto nella crescita completa ed equilibrata del piccolo.»
Mentre guardavo l’allenamento, ho sentito un genitore urlare “passala!”. In sé un messaggio altruistico (si sente più spesso “tira!”) ma mi è suonato comunque fuori luogo. La presenza dei genitori alle partite è fatta di sostegno e presenza, ma spesso di troppe istruzioni, di urla – anche ignobili come quel caso di razzismo, pochi giorni fa a Milano – a volte in contraddizione con quel che dice il coach. Che ne pensi?
«Anche in questo è necessario un equilibrio. I genitori sono una forza importante, aiutano il bambino con il loro interessamento, la loro presenza. Ma se questa crea dipendenza, se noi allenatori ci accorgiamo che il piccolo dal campo cerca con lo sguardo mamma e papà, dobbiamo poter chieder loro di provare una volta a non venire, trovando dall’altro lato persone che comprendono quanto la loro rinuncia possa essere importante per lo sviluppo del figlio. Tutti i bimbi cercano approvazione e stimoli positivi per nutrire l’autostima. A volte, la loro aggressività in campo, il troppo agonismo, è una risposta alle aspettative, è paura di deludere. Credo che il compito principale di un educatore, la sua soddisfazione più grande, sia veder crescere atleti (e figli) autonomi, dar loro tutti gli strumenti per stare bene, per liberarsi in un certo senso di noi.»
Hai nominato ora l’agonismo. A che età smettono di giocare per giocare e cominciano a giocare per vincere?
«Nessuno, dai più piccoli agli adulti delle massime categorie, vuole perdere. La spinta agonistica è innata, la voglia di battere l’altro anche, non c’è niente di male e non va repressa in quanto tale. Va controllata e incanalata, in modo che possa esprimere la sua valenza positiva; un bambino sopraffatto dall’agonismo molla, è un fatto: alla prima sconfitta vera, non sa come reagire e abbandona. Noi dobbiamo insegnare le virtù della sconfitta, a riconoscere il valore di chi è migliore di noi e a farne un modello per migliorare. In ogni squadra ci sono bambini bravi e bambini meno bravi, che ovviamente giocheranno meno. È normale e giusto così. Ma l’allenatore intelligente deve dare a tutti una possibilità: io bambino che mi impegno per imparare, sono in panchina oggi, forse domani, ma devo sapere che verrò un giorno chiamato in campo e potrò mostrare i miglioramenti ottenuti con il lavoro.»