Intervista ad Andrea De Manincor e Sabrina Modenini, attori da anni attivi a Verona come freelance ma anche con progetti innovativi come “Casa Shakespeare”, “Fake Othello” o il “Teatro quotidiano” al Teatro Satiro Off e per la loro collaborazione con i progetti teatrali di molte scuole veronesi. Chiediamo a loro come sta il teatro veronese.

Chi sono Andrea de Manincor e Sabrina Modenini?

Andrea e Sabrina: «Andrea De Manincor e Sabrina Modenini sono due attori professionisti che hanno cominciato la propria formazione fin da piccoli presso il CEA (Centro di Educazione Artistica di Verona), la scuola di educazione arti che esiste fino alla metà degli anni Cinquanta e che, a un certo punto, aveva attivato dei corsi di teatro di “dizione e recitazione”. Siamo stati allievi di Nino Cenni, Natale Brogi e poi ognuno di noi ha affrontato dei percorsi di formazione e soprattutto di lavoro con professionisti del settore di importanza nazionale».

Quali sono gli artisti ispiratori?

Andrea: «Subito si pensa ai grandi della generazione che ci ha preceduto e che non si conoscono quasi più, come Vittorio Gassman e Alberto Sordi; in teatro attori magari meno noti come Renzo Ricci e Salvo Randone. Se invece parliamo di professionisti con cui abbiamo lavorato i primi nomi che ci vengono in mente sono Ruggero Cappuccio, Claudio di Palma, Michele Monetta (con cui ci siamo formati) e come detto, Natale Brogi e, negli ultimi anni, Silvio Truccano che ci ha insegnato a improvvisare davvero senza rete».

Sabrina Modenini (in alto a destra) e Andrea De Manincor (in basso con camicia bianca)

Quali sono i messaggi che cercate di veicolare attraverso i vostri spettacoli originali e gli argomenti che il teatro, secondo voi, dovrebbe toccare per avere senso oggi?

Andrea: «Come i vecchi attori scritturati del teatro lavoriamo a chiamata, che è un po’ il senso del teatro di oggi. Ho creato, però, anche una piccola associazione a San Giovanni, con altre due socie, con le quali facciamo anche scrittura creativa. Lavoriamo insieme su progetti che ci vengono richiesti, per esempio alcune letture spettacolo come la Giornata delle Memorie, un percorso sulla Shoah e sui genocidi; uno spettacolo monologo su Nerone; spettacoli biografici originali per esempio su Emilio Salgari o sulle guerre mondiali, temi che riproponiamo anche negli spettacoli scolastici».

Sabrina: «In generale il messaggio o i messaggi che il teatro può ancora oggi veicolare – anche se è detto che debba per forza veicolare messaggi – sono di pace, tolleranza e accoglienza, necessari oggi di fronte alla disgregazione dell’Europa Unita».

Quale ruolo amate incarnare? Perché?

Andrea: «Ultimamente ruoli un po’ al limite, penso alla figura di Lear per esempio, pazzo a causa delle brame di potere di altri ma anche per la propria vecchiaia, oppure Nerone. Personaggi sul limine della morte, della pazzia o della vecchiaia perché, al momento, sono quelli che sento più vicini e che incarnano una qualche mia tensione emotiva. Il nostro è certo un teatro borghese, un teatro di parola».

Sabrina: «Io donne ferite o con un mistero, una donna che in qualche modo marca una differenza rispetto all’uomo. Non mi spiacciono i ruoli brillanti, da sciocchina apparente ma che, in realtà, diventa protagonista all’interno di un ménage familiare o a trois, com’è successo per Delitti di letto».

Il teatro a Verona è in salute? Il clima è diverso dagli esordi?

Andrea: «Si potrebbe respirare un’aria migliore. Ci sono dei segnali secondo me molto interessanti, ma a mancare è una seria programmazione culturale complessiva. Di fatto, ci sono molte situazioni anche di divisione; il problema specifico di Verona è che ha una grande quantità di compagnia amatoriali, mentre il teatro professionale è ai margini».

Sabrina: «In più, il pubblico è poco preparato alla sperimentazione; potrebbe essere più pronto e aperto a nuove proposte, come Casa Shakespeare, per esempio, che cerca di fare delle cose veramente innovative o Il teatro quotidiano alle 19 che, magari, non hanno subito il riscontro che meriterebbero di pubblico. Perché Verona è una città un po’, come dire… addormentata».

La scena veronese impone o spinge a selezionare le scelte delle rappresentazioni?

Andrea: «No, siamo assolutamente liberi, anche per la nostra natura di attori freelance, legati al gradimento committente. Il problema, in realtà, è che se proponi qualcosa di nuovo difficilmente hai un riscontro immediato. Ecco, allora, che la commedia brillante ha migliore accoglimento rispetto a proposte più coraggiose, per esempio riscritture drammaturgiche di Shakespeare».

Veniamo alle note dolenti. Il teatro ha ancora un suo ruolo nell’era della virtualità?

Andrea: «Assolutamente sì. Qualche volta mi domando se non stiamo facendo un lavoro inutile, sempre più anzi negli ultimi anni; però, quando poi il teatro è all’interno della scuola e lavori con gli studenti, allora ti accorgi che i millennial, i nativi digitali, hanno paradossalmente più bisogno di altri di essere educati al teatro più di quanto non lo fossimo noi. C’è, paradossalmente, un bisogno da parte loro di questa verità della scena, del contatto fisico ed emotivo che altrimenti è tutto in mano ai social. In questo il teatro ha una propria vitalità, una propria necessità, oggi».

Sabrina: «È l’unico mezzo di comunicazione che magari non fa grandi numeri però parla direttamente al cuore, ai sentimenti delle persone».

Il prossimo progetto in scena?

Andrea: «Diverse date a giugno a Roma; a Verona, collaboro con una compagnia amatoriale dal 3 all’8 luglio con Cena a Sorpresa, teatro brillante che in realtà, sempre come teatro di parola, sotto il sorriso nasconde il dolore della moderna e fragile vita di coppia».