Hai paura del buio?
Eat the Dark è il progetto di Alessandro Bordini, un ragazzo non vedente che viaggia il mondo e organizza cene al buio per persone vedenti.
Eat the Dark è il progetto di Alessandro Bordini, un ragazzo non vedente che viaggia il mondo e organizza cene al buio per persone vedenti.
Nel 1997 Manuel Agnelli ci poneva questa domanda diretta, lineare, senza vie di fuga nella grande zona grigia tra sì e no. Nel tempo ognuno di noi si è dato una risposta, abbiamo vissuto fasi nictofobiche pure, alternate da momenti in cui bastano due righe di tapparella, giusto per sapere dove siamo.
Eh già, il buio insinua in noi incertezza su dove ci troviamo, spariscono i punti di riferimento abituali, siamo disorientati e paralizzati; il buio ci porta perfino a dubitare di esistere, senza il rimbalzo dell’immagine riflessa negli occhi altrui o anche solo in una vetrina per strada.
Ma ho imparato da un’esperienza particolare che il buio è anche liberazione, socialità, leggerezza. Forse i lettori ricorderanno la mia intervista al mitico Alessandro Bordini di qualche tempo fa (la trovate qui, se volete) in cui si accennava al suo progetto di portare un po’ di buio nella vita delle persone vedenti, per avvicinarle al mondo in cui lui è precipitato – letteralmente – da dieci anni. Dalla sua voglia di comunicare che una vita da cieco è non solo possibile e normale, ma pure aperta al mondo e piena di gioia e ironia, è nato il progetto Eat the Dark, letteralmente “mangiati il buio”.
Si tratta di cene che si svolgono in locali sparsi per tutta la provincia, con un numero ristretto di commensali. Ho deciso di partecipare a una di queste e così, l’altra sera, mi ritrovo, dopo la breve introduzione di Alessandro, in una sorta di “trenino di capodanno” alla cui testa cammina una delle sue collaboratrici, che ci accompagna a prendere posto a tavola.
La sala è ovviamente al buio, ogni fonte di luce è oscurata. E la prima impressione è di totale disorientamento. Pur avvantaggiata da anni di fortissima miopia, in cui ho imparato a non sbattere contro i muri, qui non sono a casa e passo i primi minuti a capire dove sono; allungo le mani sul tavolo perfettamente apparecchiato e trovo altre mani: la persona seduta di fronte a me – di cui non posso sapere il sesso, l’età, i colori, niente! – sta facendo le stesse prove a tentoni e le nostre dita si sfiorano. “Ooops scusa, non ti ho visto”. Risatina idiota, ma poi lei (la risata tradisce una femmina) trova il vino e da quel momento so che sarà tutta in discesa.
Ora, immaginate di versare il vino al buio. Prendete la bottiglia e individuate il collo, con l’altra mano cercate il bicchiere (sperando che non sia una flûte), li avvicinate e versate, con un dito infilato a sentire il livello raggiunto dal vino, versandone un altro pochino che rilassa. E poi vi ciucciate il dito, che tanto non se ne accorge nessuno. Questa libertà di essere senza dover apparire è meravigliosa. Sento che tutti al tavolo percepiamo la stessa sensazione e la cena scorre via allegra, tra battute, tentativi di indovinare gli ingredienti, suggerimenti su come approcciare la tagliata, se con il coltello o direttamente con i denti… insomma, va alla grande.
Ogni tanto Alessandro interrompe il nostro cicaleccio per farci delle domande o rispondere alle nostre, per sottolineare una frase che ha colto mentre invisibile e silenzioso si aggira intorno a noi. Ci fa notare come da più di due ore stiamo chiacchierando con persone completamente sconosciute, come la disabilità possa essere considerata un limite assolutamente superabile, un’occasione per cogliere sfumature che andrebbero altrimenti perse. Niky e Carola, tra una portata e l’altra, ci raccontano come vivono la loro condizione, delle difficoltà a dare gli esami all’Università, delle reazioni sciocche della gente che, spinta da buon animo, finisce però spesso per complicare loro la vita. Rispondono a tutte le nostre curiosità e mi resta in testa il buon sapore di persone che non si arrendono, che si scontrano spesso con la stupidità, ma hanno imparato a far spallucce e riderci sopra.
Con il caffè entrano anche alcune candele e per la prima volta possiamo guardarci in faccia. Possiamo, cioè, demolire qualsiasi idea ci fossimo fatti l’uno dell’altro: chi per il modo di parlare ci sembrava vecchio e grasso e invece è giovane e (leggermente) sovrappeso; chi ci eravamo immaginati supergnocca è una ragazza carina e pure intimidita, ora che la stiamo finalmente guardando. Il ragazzo che è uscito a fumare si rivela un “palestrato” da paura e ammette candidamente di aver avuto bisogno di tornare un attimo alla realtà. In effetti la sensazione di essere rimasti sospesi nel nulla è palpabile quasi quanto i grossi asparagi del risotto; eravamo in un vuoto cosmico, pieno però di altre persone aperte e curiose, e l’ansia si è sciolta in un attimo, lasciando lo spazio a molte forti emozioni, che abbiamo raccolto in un giro di tavolo finale.
Fissiamo ognuno il proprio Unico Aggettivo per descrivere come stiamo e cosa abbiamo sentito: dopo reazioni tipo “una serata inaspettata”, “energizzante”, qualcuno ha detto che si sentiva “pieno” (non solo nello stomaco, nda) e di sentirsi in un luogo “senza confini”, nel quale qualcun altro è “entrato in contatto con una parte di me che non conoscevo e che mi piace molto”. Non è semplice raccontare, bisogna provare.
Dopo Eat the Dark, dopo esserti mangiato il Buio, ti ritrovi più forte, come se insieme al temibile Nero ti fossi pappato anche il MostroSottoilLetto. Più forti ma anche più consapevoli di quelle piccole e grandi attenzioni, quei gesti di semplice civiltà che possiamo portare nella nostra vita di ogni giorno per rendere più semplice quella delle persone non vedenti.
Nel 1992 gli Iron Maiden con la loro Fear of the Dark cantavano di un uomo che cammina da solo di notte, si sente seguito e scatta terrorizzato ai piccoli movimenti nell’ombra. Se Steve Harris fosse stato a una delle cene al buio di Alessandro avrebbe scritto un testo completamente diverso, su quella musica stupenda e incredibile, potente e trascinante come la voglia di vivere che ti accompagna fino a casa dopo Eat the Dark.Chiudo con il mio Unico Aggettivo: illuminante. Il buio mi ha aperto gli occhi e poi, ho già fame di nuovo…
Per aggiornamenti sui prossimi appuntamenti, seguite la pagina facebook Eat the Dark e il sito dedicato – parte del ricavato è destinata alle associazioni attive sul territorio per assistenza e progetti ai non vedenti.