Il miglior Pellissier
Alla vigilia del grande saluto al Bentegodi, ripercorriamo la carriera di Pellissier sul piano tecnico, tattico e dei rapporti. Chi lo ha lanciato e lo ha valorizzato e i suoi migliori partner
Alla vigilia del grande saluto al Bentegodi, ripercorriamo la carriera di Pellissier sul piano tecnico, tattico e dei rapporti. Chi lo ha lanciato e lo ha valorizzato e i suoi migliori partner
La prima fu sofferta. «Inizia benino, arrivando anche al tiro, poi si perde e all’intervallo fa la doccia: 5,5». Così scriveva dell’esordiente Sergio Pellissier una laconica “Gazzetta dello Sport” nelle pagelle di Chievo-Brescia del 22 settembre 2002. Finì 2-1 per le Rondinelle, con due assist di Roby Baggio a far da spartiacque. Pur con molti alibi, a partire dalla curiosa posizione da esterno di centrocampo, in effetti il suo vernissage con la maglia gialloblù non fu entusiasmante. Gigi Delneri non è tipo da sconti e dopo i primi quarantacinque minuti lasciò negli spogliatoi sia Bierhoff che quel ragazzo rientrato a Verona da un biennio in prestito dalla Spal.
La capacità di corsa unitamente a un occhio fino per la porta avversaria sono le caratteristiche di quel 23enne, alla sua grande occasione dopo quattro stagioni in C, che il mister coi baffi intende sfruttare in quell’avvio del secondo anno in A dei suoi Mussi Volanti. Privo di Luciano, squalificato per il caso-Eriberto, prova a utilizzarlo nel ruolo che il brasiliano ha interpretato in maniera sublime nel corso della precedente stagione. Il risultato non è brillante quantomeno secondo i canoni della pazienza del tecnico friulano. Dopo venti minuti lo inverte con Franceschini, partito a sinistra, per poi procedere con la definitiva sostituzione di entrambi. A posteriori, a credito di Sergio, resterà il fatto che in quel momento il risultato fosse zero a zero.
Il tempo, si dice, è galantuomo. Con Pellissier è indubbio lo sia stato. A partire dal punto di vista dei risultati sportivi per non dire di una vicenda processuale svanita poi nel nulla e, in ultima analisi, in relazione alle scelte tecniche. Più volte ha dovuto ricominciare da zero, scalare daccapo l’ordine di preferenza per far cambiare idea chi sembrava poco convinto della sua efficacia.
La tempra e le capacità, sia balistiche che caratteriali, non hanno tardato ad emergere. Il primo a beneficiarne fu proprio Delneri, in una sorta di cliché che contraddistinguerà alcune annate della carriera del capitano gialloblù. La sua prima stagione al Chievo è una sorta di caso-studio da far analizzare a tanti aspiranti calciatori odierni. Esordiente, il buon Gigi lo utilizza con parsimonia. Forse non vuole bruciarlo e lo tiene così un po’ in naftalina. Dopo il già descritto primo tempo con il Brescia, Pellissier l’erba la calpesta per una manciata di minuti contro l’Inter e nel finale disperato contro la Stella Rossa in Coppa Uefa. Poi deve attendere un mese esatto prima di sentirsi dire «Entri tu». E il giovane valdostano coglie l’attimo come pochi sanno fare.
Il Tardini di Parma si trasforma in una pietra miliare della sua carriera. Sullo zero a zero, intorno all’ora di gioco, Delneri lo spedisce in campo al posto di Beghetto. Là davanti, a fianco di Bierhoff, uno con alle spalle 70 presenze in nazionale tedesca e fresco vice-campione mondiale. All’ultimissimo giro di lancette, su un cross da sinistra di Franceschini, il “nostro” svela le proprie doti di cannoniere. Sul breve, in piena area di rigore ruba un metro a chi lo marca. Anticipa il movimento colpendo il pallone col sinistro, di prima intenzione. Uno a zero e tutti felici.
Coi fatti, col tempo si conquista il posto da titolare a suon di prestazioni positive e gol pesanti. Nel ruolo di attaccante e non certo in quella iniziale di esterno, posizione che – a nostra memoria – tornerà a ricoprire soltanto in alcune gare con Delneri nella stagione della retrocessione di undici anni fa quando, nel tentativo di dare verve alla fase offensiva, il buon Gigi lo piazza ancora largo, stavolta a sinistra, rispetto a un centrale di stazza (Bogdani) e un altro esterno veloce (Obinna, a destra). Così come Beppe Iachini, all’inizio della seguente stagione di B, che lo ricolloca alla sinistra di un attacco a tre in cui prima Greco e poi Gasparetto sono i centravanti. Il tutto fino al rovescio subito a Bologna (4-0) che vale la rilettura dello schieramento. Con Pelo-gol in posizione più centrale e offensiva il Chievo cambia passo e vola verso la promozione, a cui contribuisce con 22 stoccate. Segnare gol diventerà diventerà il suo ruolo definitivo. Quello naturale.
Insostituibile per Pillon, Di Carlo e Pioli, in panchina con Corini, D’Anna e Ventura, altalenante nella relazione con Maran, sul piano tecnico e tattico nella seconda parte della sua avventura gialloblù ha dovuto affrontare scelte discontinue da parte di chi lo ha gestito. Il risultato anche qui è noto: hanno irrobustito la scorza dell’atleta. In una parola: resilienza.
Prima o ultima scelta, Pellissier non ha mai snaturato il suo approccio, sia mentale che tecnico. Nel frattempo, in diciassette stagioni intense al suo fianco sono transitati decine di compagni. Beghetto, Cossato, Bierhoff, Bjelanovic, Tiribocchi, Amauri, Bogdani e Obinna sono stati i suoi primi partner offensivi. Granoche, Moscardelli, Théréau, Paloschi, Inglese, Meggiorini e infine Stepinski sono quelli della seconda fase di carriera, post ritorno in A, in cui, tra gioie e dolori – anche fisici – crescevano consapevolezza e leadership, sia interna che esterna, in un tourbillon di sentimenti, in un’alternanza di grandi soddisfazioni e bocconi amari da deglutire che – unitamente – hanno moltiplicato stima e affetto dei suoi tifosi.
Prima o seconda punta, centrale o in appoggio, abile nel sostenere la manovra della squadra, trovare la porta avversaria non è mai stato un problema sulla sua agenda. Dal baricentro basso e un grande fiuto supportato dalla naturale indole e capacità di battere a rete, in attesa di Chievo-Sampdoria l’analisi dei 139 gol realizzati da Pellissier con la sua maglia preferita – oltre a quello in azzurro – si traduce in una sorta di manuale del bomber completo. Ne ha messi a segno di ogni tipo: d’astuzia, in contropiede, suggeriti da un lancio dalle retrovie, in azione manovrata, su azione da calcio piazzato, di testa, di piede, col destro, col sinistro, sotto porta, con un guizzo da rapace d’area così come dalla distanza, con tiro teso ma anche pallonetto sul portiere in uscita, fino al colpo di tacco volante. Quella magia, nello specifico, la fece a Marassi contro il Genoa, su cross di Mattiello, nell’ottobre del 2015.
Tra le tante prodezze è complicato scegliere la migliore in assoluto. La sensazione è che a quel gol segnato a Perin vada attribuito anche un significato simbolico. Per una serie di circostanze, quella specifica prodezza, arrivata in un momento particolare, ha sintetizzato la quintessenza dell’uomo-Sergio. In otto giornate, Maran lo aveva utilizzato solo per 54 minuti contro il Torino. Il numero 31 era in panchina anche in quel grigio pomeriggio di Genova finché, con il Chievo sotto due a uno, viene fatto entrare al posto di Paloschi. Impiegherà duecentoquaranta secondi a lasciare il segno. Oltretutto in un modo spettacolare.
Qual’è stato il miglior Pellissier? Dal punto di vista dell’efficacia, anche in termini di sostegno alla manovra, ogni volta che ha avuto un partner all’altezza il rendimento è apparso giovarne. Al netto della stagione del debutto, nel corso degli anni la costanza nel rapporto col gol e l’efficacia dei suoi movimenti sono cresciuti quando ha avuto la possibilità di avere al suo fianco un compagno dallo specifico identikit.
Ovvero una prima punta alta, forte sul piano fisico ma anche abile tecnicamente, in grado di togliergli una percentuale di pressione da cui ritagliarsi spazi per alimentare al meglio la propria esplosività offensiva e sfruttare le sue eccezionali qualità. Per questo motivo Amauri prima, Meggiorini e Inglese poi appaiono i giocatori con cui è riuscito a interagire meglio, con benefici reciproci.
Carattere e volontà hanno poi fatto tutto il resto. Dalla celebre tripletta alla Juventus alle giocate che hanno contribuito a svariate salvezze, a una promozione, a vittorie nel derby e all’esito felice di grandi e meno grandi sfide, Pellissier chiude la propria carriera con la consapevolezza di non doversi rimproverare nulla sul piano dell’impegno. Sarebbe potuta andare addirittura meglio? Forse sì, ripensando ad alcuni frangenti e a quella serata di Pisa con la maglia azzurra addosso. Però così è la vita. Capitan Sergio è stato straordinario a allungarsi ambizioni e limiti restando umile, scegliendo di dedicare la propria carriera a un piccolo club unico nel suo genere, di cui diventarne bandiera, anziché trovarsi lo scivolo della probabile gloria facile in un sodalizio metropolitano o diventare uno dei tanti professionisti che cambiano casacche senza troppi patemi.
Sergio Endrigo diceva semprea «Meglio finire un concerto con una canzone in meno che una di troppo». Pelo-gol avrebbe potuto dare ancora molto sul campo da gioco. Ha invece preferito congedarsi con tempismo, parlandone prima in famiglia poi con Luca Campedelli, con cui ha sempre avuto un rapporto speciale. Nonostante le invocazioni dei tifosi, nonostante l’ultimissimo record rimastogli da battere, quello simbolico dei gol assoluti di Bruno Vantini neppure poi troppo lontano. Lascerà così, da leggenda vivente, ammainando l’ultima delle bandiere. Dopo l’applauso di San Siro saluterà chi ama il calcio e il Chievo, le sue due passioni, al Bentegodi. Lo farà a testa alta, in serie A, a casa sua.
(Foto Udali/AC ChievoVerona)