Da qualche settimana si rincorrono voci, con presunti documenti, progetti, perfino immagini del nuovo stadio per Verona, prontamente smentite o rinvigorite dal politico di turno. Proviamo a fare un minimo di chiarezza, rispondendo alle domande che rendono insonni i veronesi tutti, alla nostra maniera.
Cosa: diamo a Verona uno stadio nuovo
Sembra facile, buttata così; grattando appena sotto la scorza, troviamo le nobili intenzioni del Sindaco di lasciare un segno della sua amministrazione alla posterità, nonché una cordata di finanziatori che all’imperituro ricordo preferisce la grana sonante hic et nunc. Si parla di un “progetto adattabile a usi diversi, per massimizzarne l’utilità per la collettività” così come il ritorno reddituale, naturalmente. Si vuol creare un “progetto olistico” (sentito veramente, sigh) che risolva i problemi del Bentegodi, ormai vecio come il suo parcheggiato predecessore, e crei anche spazi commerciali che la cordata di cui sopra possa sfruttare economicamente. Il tutto in un contesto “riqualificato che restituisca il quartiere ai cittadini”, che evidentemente in questi anni erano tutti barricati in casa.
Chi: una società di scopo e un’impresa di costruzioni consolidata
Chi sono gli investitori che metteranno il soldo, quali interessi ci sono dietro, gli attuali proprietari delle due squadre di calcio cittadine saranno coinvolti? Il presidente del Chievo Campedelli si è sentito «offeso dagli annunci fatti», una dichiarazione che non sembra lasciare dubbi: la diga è chiusa. Il Setti, il presidente dell’Hellas Verona, invece vuole, fortissimamente vuole «regalare uno stadio nuovo e un centro sportivo» e ci lascia intuire che tale munifica beneficenza implichi un coinvolgimento economico fin dall’inizio. Sarebbe interessante sapere se il sindaco Federico Sboarina sia invece a conoscenza dei dettagli personali e abbia ottenuto dall’ex calciatore Berthold – che si è esposto direttamente – i curriculum di tutti gli interessati, giusto per evitare sorprese appiccicose da terra dei cachi. I pochi nomi circolati ufficialmente riguardano un “tiratore di fila” straniero dal nome infinito, tipo quelli dei brasiliani negli anni Ottanta, e una rinomata impresa edile teatina, quando ci sarebbe una discreta scelta anche in città, a guardar bene, con risvolti positivi anche di altra natura per l’economia veronese.
Come: project financing, questo sconosciuto
Si tratta di una cosina semplice, alla fine della fine: un affare in cui i finanziatori si impegnano a creare un’opera di interesse pubblico ottenendo in cambio di poterla sfruttare economicamente, sia in modo diretto (ad esempio, con i canoni di locazione dalle società di calcio o dagli utenti in genere) che indiretto, su tutte le attività commerciali che sorgono a corollario e costituiscono la vera spinta imprenditoriale. Quando il sindaco Sboarina dichiara che «lo stadio resterà di proprietà della città», ci viene da pensare si tratti di una soluzione come quelle già viste a Torino e Udine, in cui le società che gestiscono lo stadio hanno una concessione esclusiva (gratuita?) per i classici 99 anni, ma formalmente la proprietà resta pubblica. Sia qui detto, non lo sappiamo, nessuno ha visto gli accordi effettivi, sempre che già ci siano. Possiamo solo dedurre.
L’unica cosa resa pubblica e pure in pompa magna e tamtam mediatico, ahimè rasenta il ridicolo, almeno per chi ha una base di AutoCAD o anche solo Photoshop. Il rendering (nome tecnico del progetto di visualizzazione tridimensionale del nuovo stadio, per dare l’idea dell’impatto visivo e ambientale) è semplicemente una buffonata, perfino Bruno Vespa poteva fare meglio di così. Un “coso” ovale infilato in mezzo a case qualsiasi, senza rispetto per la posizione reale; detto sottovoce, gli archi somigliano più all’acquedotto dell’Appia antica che alla nostra Arena: ragazzi, attenti, dall’acquedotto alla cloaca maxima il passo è brevissimo!
Il tutto fatto circolare freneticamente dai media senza che qualcuno sollevasse un piccolo dubbio su chi cavolo ha prodotto una tale ciofeca da principianti: brutta, scolorita, approssimata, raffazzonata. Ricorda una certa squadra, ma è un’altra storia.
Perché: ma davvero non va bene il Bentegodi?
È indubbio che il nostro stadio comincia a mostrare i segni del tempo, sui muri di cemento armato lunghe crepe si affiancano alle macchie di urina (si sa, in bagno c’è troppa polvere per farla là) e la sporcizia ha da tempo la meglio sui colpi di spazzolone estemporanei di inizio stagione. È vecchio anche in un altro senso: troppo grande e lontano dall’azione, mentre noi tifosi 3.0 vogliamo il modello british, un bollente catino raccolto intorno alla squadra, servizi di qualità, ristoranti, asili nido e tante belle lucine colorate per le coreografie. O no?
Nota a margine. Personalmente non mi attacco alle cose, mai. Domenica mi sono commossa al giro di campo delle Old Glories gialloblù, ricordandomeli da bambina in fila per gli autografi al cancello degli spogliatoi. Mi sarei commossa anche al palasport, a dire la verità… non sono tanto i luoghi ma le persone, le memorie che io coltivo; ma capisco e non posso che sostenere chi vede in questo stadio una sorta di monumento a tutti quelli che, partiti dal nulla, sono riusciti a cambiare la storia, l’elegia definitiva di Davide contro Golia. Il nostro stadio è anche questo e i sentimenti di chi lo sente “suo” vanno rispettati e onorati. Speriamo arrivi la chiarezza a spazzare il solito blabla italico, i veronesi si meritano serietà.