Play-off Nba nel vivo, uno sguardo alle favorite
Un breve viaggio nel dorato mondo dell'Nba, proprio nel periodo in cui le squadre si danno battaglia per l'ambito anello, uno dei titoli più importanti e famosi nello sport a livello planetario.
Un breve viaggio nel dorato mondo dell'Nba, proprio nel periodo in cui le squadre si danno battaglia per l'ambito anello, uno dei titoli più importanti e famosi nello sport a livello planetario.
I play-off della Lega professionistica americana di pallacanestro, meglio conosciuta in tutto il mondo come Nba, sono entrati nel vivo. Non esiste a livello planetario un avvenimento sportivo con tale seguito, a eccezion fatta per il Superbowl e la finale dei Mondiali di calcio, evento che si ripete, però, solo ogni quattro anni. L’Nba, dall’avvento di Michael Jordan in poi, è diventata un fenomeno globale con franchigie, quelle che noi comunemente chiamiamo squadre, ormai trasformate in veri e propri marchi imprenditoriali che superano il miliardo di dollari di valore in crescita esponenziale. “Forbes”, in riferimento ad un’analisi effettuata nel 2017, identificava un valore medio di 1,6 miliardi di dollari a franchigia . In testa New York Knicks e Los Angeles Lakers in grado si superare i 3 mld di $, con fatturati annui abbondantemente oltre i 300 milioni di dollari.
Per noi italiani orientarsi tra queste cifre è estremamente arduo sia per retaggio culturale, visto che coltiviamo ancora l’idea dello spirito olimpico, sia perché ancorati a una legislazione sportiva che limita fortemente le casistiche di riconoscimento di attività sportiva professionistica. Infine – aspetto questo forse preponderante –, siamo in continua difficoltà nel saper trasformare lo sport in spettacolo e in prodotto vendibile, a tutti i livelli e gradi. Tali valutazioni assumono ancor più significato se pensiamo che la squadra italiana più vincente e famosa nel mondo, la Juventus vale, sempre secondo “Forbes”, circa 837 milioni di euro, meno della peggior squadra Nba. Accostarsi dunque a quel mondo dorato della pallacanestro a stelle e strisce non è semplice, ambiente dove ogni dettaglio è curato in maniera maniacale e in cui la ricerca e lo sviluppo di nuove tecniche, tecnologie e metodi, rimane all’avanguardia. Non bastasse, l’Nba è un mondo estremamente complesso e diverso dal nostro per via dei regolamenti. Prima di tutto il Salary Cap, un tetto salariale previsto per ogni franchigia che nel tempo, attraverso meccanismi estremamente articolati, tende a limare le differenze tra squadre. C’è, poi, una lunghissima stagione regolare, fatta di 82 partite in poco più di cinque mesi, in cui gli atleti portano in giro per gli Stati Uniti e il resto del mondo il loro show, per poi giocarsi tutto nei play-off. Infine, aspetto questo che dovrebbe e potrebbe insegnarci molto, è diverso il reclutamento dei futuri campioni che maturano nei licei e nelle università della nazione, non in società private, come viceversa avviene in Italia. Il famoso Draft delle matricole è anch’esso evento a cadenza annuale con visibilità planetaria e che condiziona le strategie sportive di tutte le franchigie, pronte anche a vivere stagioni fallimentari, solo per aumentare le proprie possibilità di accaparrarsi i prospetti migliori del pianeta. Il Draft infatti, pur mantenendo una quota di casualità, avviene secondo criteri inversamente proporzionali alla classifica della stagione appena chiusa, sempre nella logica di garantire equilibrio e spettacolarità.
Detto che gli italiani Gallinari e Bellinelli sono già stati eliminati, pur dopo ottime annate, anche quest’anno la favorita per il titolo rimane la franchigia dei Golden State Warriors, team che ha rivoluzionato lo stile di questo sport, interpretando una pallacanestro fatta di spaziature, movimenti senza palla – espressione di sacchiana memoria – ed ecletticità offensiva e difensiva, portate all’ennesima potenza. Il tutto è stato possibile innanzitutto grazie al suo leader Stephen Curry, uno dal fisico normale, ma che non ha limiti al range di tiro, e ad un quintetto di titolari senza pari. Per arrivare alla finalissima dovranno superare gli Houston Rockets allenati da Mike D’Antoni, colui che, potere del fato, fu il vero precursore dello stile di gioco diventato vincente proprio con i Golden State Warriors. Lo fu da atleta, come protagonista nell’epopea delle Scarpette Rosse dell’Olimpia Milano, ma anche da allenatore, ahi lui mai vincente a causa di una serie inenarrabile di infortuni occorsi ai suoi giocatori chiave nei momenti decisivi delle varie stagioni.
Oggi nel team texano fanno gli scongiuri, in primis un James Harden formato Mvp: potrebbe essere l’anno buono, anche se rimangono sfavoriti dai bookmaker. Tra le altre avversarie di Golden State, prima della finalissima, ci saranno alternativamente i giovanissimi Denver Nuggets o i Portland Trail Blazers che, a proposito di capacità di vendere il loro marchio, non sono tra le piazze più hype per gli appassionati Nba. La loro filosofia è molto diversa da Houston e Golden State, avendo assemblato dei team solidi e strutturati in cui le stelle della squadra sono il plus e non l’elemento unico e imprescindibile per poter ottenere successi. Probabilità di vincere l’anello Nba? Golden State 50%, Houston 15%, Denver e Portland 5% congiuntamente.
Per i regolamenti della Lega, la squadra dell’Ovest superstite incontrerà alla finalissima una delle squadre dell’Est, forse a torto ritenute più deboli. Quest’anno infatti, contrariamente alla tendenza degli ultimi anni, alcuni giocatori si sono spostati verso le franchigie orientali, rendendo senza dubbio più emozionante questo finale di stagione. A est le semifinali di Conference saranno tiratissime e vedono a confronto quattro squadre molto ben costruite e con progetti pluriennali chiari e solidi. I Boston Celtics, pur faticando in Regular Season, sono ancora imbattuti ai play-off e sembrano essere squadra senza veri e propri punti deboli, con un talentuosissimo Brad Stevens in panchina, capace di farsi scivolare addosso le critiche di stagione e di riuscire a gestire l’ego e le intemperanze in spogliatoio della sua stella Kyle Irving, tanto per intenderci uno da sempre fedele ai principi del terrapiattismo. Non una missione semplicissima gestirlo. Contro di loro i Milwaukee Bucks, non certo il cuore degli Usa cestistici, ma di recente tornati in luce grazie all’ennesimo compimento dell’American Dream: proprio per le strade della cittadina del Wisconsin un ragazzino greco, venditore ambulante nelle periferie di Atene ai tempi delle Olimpiadi, poi emigrato dopo una serie inenarrabile di coincidenze favorevoli, è diventato The Greek Freak, un imperioso armadio di muscoli, volontà, tecnica e ogni altra caratteristica lo possa far sembrare il prototipo del cestista moderno. Non bastasse tutto questo, ciò avviene proprio mentre LeBron James, per almeno una decade il più forte cestista del pianeta, non si è nemmeno qualificato alla post season. Passaggio di consegne in corso, non si può negare. Il greco deve affinare un po’ il tiro da lontano, ma Giannis Antetokoumpo è già nel cuore degli sportivi di mezzo mondo e, se Milwaukee può tornare a sognare anta anni dopo un altro scherzo della natura che rispondeva al nome di Kareem Abdul Jabbar, alias lo Sky Hook più famoso della storia, in quanto unico e irripetibile, molto lo si deve proprio a The Greek Freak.
Nell’altra semifinale di Conference, i Philadelphia 76ers tornano a giocarsi qualcosa dopo l’epopea ormai lontana di Allen Iverson e dopo innumerevoli anni in cui la franchigia ha scelto deliberatamente di giocare a perdere per accumulare giovani rampanti. “Trust the Process“ era il motto nella città dell’amore fraterno, ma per anni, causa una sequenza di imponderabili sfortune, questi campioni in erba sono finiti regolarmente infortunati uno dopo l’altro, ritardando “the process”. Ora la squadra, comandata dal forte quanto fragile Joel Embiid, il giocatore più social dell’intera Lega, è pronta a fare sul serio. Dopo anni di inferno e purgatorio, i 76ers sono andati All in, cercando di assemblare il migliore organico possibile, ma forse hanno sbagliato i tempi perché quest’anno sono davvero tante le pretendenti, a partire dai Toronto Raptors, ormai storica franchigia d’espansione, mai così pronta a competere per il titolo. Dopo un paio d’anni di eccellenza, ma mai davvero in grado di competere, anche loro hanno giocato tutte le fiche nel tentativo di salire l’ultimo scalino che precede la vittoria: acquisendo Kawhi Leonard, il miglior giocatore della Lega, se si considerano fase difensiva e offensiva, proveniente da più di un anno di inattività, si sono assunti un grosso rischio, ma sembra proprio che possano ottenere dividendi importanti. I Raptors hanno una profondità di organico senza pari e i giocatori giusti per competere contro i Golden State Warriors in una eventuale finalissima, ma ci arriveranno? Probabilità di vincere l’anello Nba? Boston 15%, Toronto 10%, Philadelphia e Milwaukee 5%.
Come al solito tante pretendenti e un solo anello, intanto tutte le altre franchigie sono già al lavoro per progettare il futuro. In molte preparano riti e scongiuri in vista del Draft 2019, perché negli Stati Uniti, mondo capace di glorificare le vittorie come pochi, anche le sconfitte possono avere un immenso valore: tra possibili meteore, gemme nascoste e tanti rischi nel puntare su giovani talenti di smisurato valore fisico e tecnico, ma poco avvezzi alla carriera professionistica, quest’anno tutti aspettano di capire chi riuscirà ad accaparrarsi un certo Zion Williamson.
Il ragazzo è considerato dagli addetti ai lavori uno dei migliori prospetti degli ultimi vent’anni ed esce dalla Duke University, un marchio, una garanzia. In termini cestistici più che scolastici, visto che lo stesso Zion ha fatto suo ormai il proverbiale motto dello One&Done, fermandosi al college giusto per un assaggio di basket universitario, pronto com’è ad avviare il prima possibile la sua carriera professionistica e firmare contratti milionari.