Il filo sottile dell’arte-che non-è-arte. E viceversa
Chi o cosa stabilisce cosa sia arte e cosa no? Recenti episodi ripropongono l'annosa questione. Ma la soluzione arriva dal Giappone. Forse.
Chi o cosa stabilisce cosa sia arte e cosa no? Recenti episodi ripropongono l'annosa questione. Ma la soluzione arriva dal Giappone. Forse.
In una celebre scena de Il mistero di Bellavista, film del 1984, il protagonista Luciano De Crescenzo visita Villa Pignatelli a Napoli per un’esibizione d’arte contemporanea. È in compagnia di due dei ragazzi del suo “Simposio” (Saverio lo spazzino e Salvatore il vicesostituto portiere ) che fanno il loro primo incontro con i quadri di Fontana e Burri. Fra le varie opere in mostra i tre restano colpiti da un’opera del maestro della pop art Tom Wesselmann: l’interno di un bagno con tanto di lavabo, specchio e gabinetto.
Usciti dal museo, i due giovani dibattono a lungo con il Professore De Crescenzo su cosa si possa definire effettivamente arte e cosa no, finché alla fine Salvatore la spunta con una specie di apologo. «Un mio amico muratore», racconta, «una volta trovò tra le macerie di una villa a Torre del Greco un quadro del pittore seicentesco Luca Giordano, riconobbe che si trattava di un capolavoro, comunicò la sua scoperta ai responsabili dei lavori e ci rimediò pure una ricompensa da parte della Sovrintendenza. Ebbene», afferma a quel punto, «ipotizziamo il caso di un muratore dell’anno Tremila che trovasse tra le macerie i resti dell’opera di Wesselmann, che cosa penserebbe? Direbbe che è di fronte a un capolavoro, o a nu cess’ scassato?». A quel punto il pur coltissimo Professore, che fino a quel momento aveva cercato di dibattere portando nella discussione anche le opinioni di filosofi importanti come Protagora, si arrende all’evidenza. «Senza dubbio nu cess’ scassato!» conferma.
Gli amanti del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo ricorderanno, probabilmente, il dialogo sulla gamba (quella inserita nel titolo del loro primo, famosissimo film) dello scultore Garpez pagata 170 milioni delle vecchie lire, che – secondo Giovanni – il suo falegname avrebbe realizzato per 30 mila lire. E pure meglio.
Insomma, anche il cinema si è occupato – in maniera spesso irriverente – dell’annoso problema di cosa debba essere considerato arte e cosa no.
Qualche settimana fa a Vienna, in Austria, è stato arrestato, in flagranza di reato, un ragazzo di 24 anni di nazionalità inglese, noto “graffitaro globetrotter” e ricercato per questa sua attività addirittura in tutta Europa. A incastrarlo è stata la sua vanità, ovvero l’irresistibile impulso di lasciare il suo “tag”, la firma in gergo, in calce alle proprie “opere”. Treni della metropolitana e muri di periferia erano i suoi bersagli preferiti e c’è chi dice che avesse un talento fuori dal comune, che gli consentiva di abbellire e ingentilire le zone degradate delle città che di volta in volta si trovava a “visitare”. Alcuni dei suoi graffiti, fra l’altro, sono stati realizzati anche in Italia. Ora rischia fino a cinque anni di reclusione, formalmente per “atti vandalici”.
Con un salto temporale e geografico torniamo indietro di un paio di mesi, a metà gennaio 2019, quando a Tokyo il Governatore Metropolitano Koji Sugiyama ha deciso che un graffito, che lui ha attribuito senza tema di smentita al mitologico Banksy, sarebbe diventato la base per realizzare una mostra permanente dedicata all’artista di Bristol. Un po’ sull’onda di quanto fatto ad Amsterdam con il Museo Moco (situato in una palazzina storica a due passi dal Van Gogh Museum e dal Rijksmuseum, per intenderci). Il disegno trovato nella capitale giapponese ritrae un topo che si protegge dalla pioggia con un ombrello ed è apparso un giorno, all’improvviso, sulla porta della stazione della metropolitana di Hinode, nel centro della città. La “mano” è stata subito riconosciuta come quella di Banksy, anche se non c’è – come sempre in questi casi, peraltro – ancora alcuna certezza. Nonostante ciò nessuno fino ad ora è riuscito a scalfire la granitica certezza del Governatore Metropolitano, che sta proseguendo, così, nella sua campagna a favore dell’arte di strada.
Insomma, la contraddizione fra i due casi appare evidente, così come appare chiaro, ancora una volta, che il problema su chi sia deputato a stabilire cosa sia da considerare arte e cosa no è ancora ben lontano dal trovare una soluzione chiara e univoca, ammesso che ciò possa mai davvero accadere.
Almeno nel Paese del Sol Levante, però, qualcuno ha trovato una risposta: dalle loro parti, da vero Samurai, a risolvere di volta in volta la questione da oggi in poi ci penserà lui, il Governatore Metropolitano. Sayonara!