“Metti via quel cellulare”, chissà quante volte i ragazzi, nativi digitali, si sono sentiti ripetere queste parole. Prima di pranzo, prima di cena, subito dopo pranzo, subito dopo cena, mentre studiano, scrivono ecc. Non si tratta solo di parole di genitori “pedanti”, ma anche il titolo di un libro di Aldo Cazzullo (Mondadori) scritto insieme ai due figli Rossana e Francesco Maletto Cazzullo. Il giornalista del “Corriere della Sera”, recentemente tornato a Verona, città che non nasconde di amare, lo ha presentato al Teatro Nuovo, per l’occasione gremitissimo.

L’evento è l’ultimo di una lunga serie denominata “Fuori dalla rete – percorsi educativi all’uso del Web”, introdotto dalla professoressa Daniela Galletta,  coordinatrice della rete di scuole “Scuola e Territorio: educare insieme” e dell’Associazione Prospettiva Famiglia.

A dire la verità non è stata una presentazione come molti si sarebbero aspettati, cioè Cazzullo che parla del suo libro. È stata invece una rappresentazione teatrale con tre attori: un Cazzullo fake e due ragazzi che interpretano i suoi figli. Molti infatti saranno colti di sorpresa quando alla fine dello spettacolo, il vero Aldo Cazzullo sale sul palco. L’altro, infatti, gli assomiglia e non poco.

È un incontro/scontro tra due generazioni: quella tra nativi digitali, i figli, e quella dei migranti digitali, rappresentati dal giornalista, secondo la  fortunata e diffusa definizione di Prensky (2001). C’è quindi la generazione  di chi ritiene il digitale come “normale” o, come viene detto dai ragazzi, “parte essenziale della vita”, che non può immaginarne l’assenza. E poi c’è la generazione di chi invece se la ricorda bene, l’assenza, ed è quindi passata da un sistema di comunicazione, in particolare la tv, a un altro, la connessione in rete. Quella che dice di utilizzarlo per lavoro, “devo controllare una mail”, come fosse una giusta giustificazione, o una critica tra le righe all’altra generazione, che invece ci “perde tempo”.

Il racconto ha un punto di svolta nella generazione del ’68 che ha dato luogo a riforme politiche e sociali, nuovi immaginari e nuovi idoli. Forse anche adesso ci troviamo difronte a qualcosa di simile, una svolta caratterizzata però dalle nuove tecnologie. Tutto gira intorno a quel “demoniaco” strumento che abbiamo in tasca, in mano, davanti agli occhi. La “generazione dello sguardo basso” viene chiamata, dovuta a una rassegnata, normale e accettata dipendenza e forse anche a un narcisismo aumentato. Cosi Cazzullo prova a interpretare i panni di chi può aiutare i ragazzi a un uso più critico e consapevole. La rappresentazione scorre, infatti, attraverso la dialettica di un confronto generazionale e viene da dire: “è vero, hai ragione”, e subito dopo: “ma hai ragione anche tu”.

Aldo Cazzullo

Insomma ognuno sembra avere le sue ragioni: ragazzi e adulti. Cazzullo e la sua generazione critica l’altra perché legge meno, perde gli occhi davanti allo schermo. I ragazzi ribattono che on line “si leggono tutti i libri che si vuole, si ascolta la musica che si vuole”. E poi non è vero che i giovani non leggono,  dicono, solo che lo fanno in maniera diversa. Wikipedia è la conoscenza a portata di tasca, ovunque e in qualsiasi momento. Insomma, un altro mondo, un’altra storia. Cambiano anche i miti, oggi puoi diventare un ragazzino famoso in poco tempo e dal nulla, come gli youtuber Favij oppure Cicciogamer89. L’attore che interpreta Cazzullo pronuncia “youtuber” più o meno come se si stesse riferendo a un alieno. Roba mai vista.

Allora, come si dipana la matassa? Difficile e forse non esiste neanche una vera medicina. E per fortuna, ci verrebbe da dire, perché se ci fosse davvero la cercheremmo come una droga, invece di provare a riflettere, volta per volta, sulla complessità della situazione, instaurando un dialogo e un ascolto costruttivo tra generazioni. Perché il vero valore aggiunto di un incontro come questo, al di là dell’aspetto informativo e della capacità di farci entrare in ruoli diversi, mostra che l’unica reale soluzione è il desiderio di incontrarsi, di approfittare di questo grande tema per convergere su temi più profondi, sul senso delle cose, sulla capacità di scegliere, sulla conoscenza, sul ritrovarsi come famiglia.

Se, al contrario, come spesso accade, le generazioni saranno su fronti opposti, pronte a scontrarsi sulla base di pregiudizi e visioni superficiali, la battaglia sarà persa e ognuno se ne andrà per la sua strada. Così dopo il “metti via quel cellulare” non dovremmo dimenticare di aggiungere: “che stiamo un po’ insieme”.