Il finto conflitto sulla "sacra" famiglia
Si è concluso il Congresso che ha posto Verona al centro dell'attenzione del mondo. Ma davvero la famiglia è stato il punto?
Si è concluso il Congresso che ha posto Verona al centro dell'attenzione del mondo. Ma davvero la famiglia è stato il punto?
Quando l’ovvio serve in realtà per nascondere l’inaccettabile.
Finalmente, Verona non è più la città della famiglia naturale e torna, nel pieno spirito veneto, città paladina dell’alcolismo col Vinitaly. Tuttavia, colpisce un post, in questi giorni di polemiche, da FB:
Pare riassumere il messaggio del Congress of Families XIII, che vede i suoi sostenitori reduci dalla marcia di chiusura. Un post toccante, certo. Ma la domanda che sorge è: qualcuno davvero si è dichiarato convintamente contro la maternità, contro una politica che favorisca la scelta della gravidanza, contro scelte economiche che permettano alla donna di poter scegliere a cuor leggero tra lavoro e maternità? No davvero.
E allora da cosa nasce questo scontro, questa conflittualità bipolare e sorda?
Nasce chiaramente da un’ambiguità, voluta, che sbandiera un sostegno a chiacchiere alla maternità per nascondere ben altro. D’altronde, lo dice anche il Vaticano: «Bene sostanza, metodo sbagliato», e la sostanza è la dichiarazione del vescovo di Verona Zenti, ovvero che l’aborto è un delitto e le donne, ne discende necessariamente, criminali. E sciocco chi pensa che in uno Stato di diritto sia il codice a definire cos’è delitto e cosa no. Ma tant’è: il Congresso rispondeva a due necessità difficilmente conciliabili, ovvero fornire rispettabilità scientifica a un gruppo che pone Dio come parte fondante il suo programma e, insieme, valutare il livello di attenzione e reazione della società civile. Una strategia che sembra puntualmente ripresa, come dicevamo qualche giorno fa su questo giornale, dal programma di Agenda Europa. Due cose che non potevano stare insieme: infatti, le proposte del Congresso sono come sparite, buone o cattive che fossero, schiacciate dal bipolarismo estremista delle posizioni politiche e delle riduzioni semplicistiche del giornalismo.
Perché sarebbe una battaglia in malafede?
I referenti politici sono inaffidabili. Eccetto una breve parentesi, la destra ha governato in Italia dal 2001 al 2011. Atti concreti per la famiglia? Qualche detrazione nel 2001 e il bonus bebè nel 2005. Ben poco se paragonato alla Francia o persino alla quantità di detrazioni all’imposta federale per le famiglie negli USA, che notoriamente non brillano per welfare. Salvini, tra i prossimi obiettivi di questo governo, ripropone ancora il quoziente familiare, vecchia battaglia di Famiglia Cristiana e con studi del Senato che risalgono già al 2008 (!). Come già implicitamente detto per l’Autonomia del Veneto, non ci scommettete troppi soldi.
Un sostenitore pro famiglia, oggi, dovrebbe chiedersi perché i suoi referenti politici, invece di proporre, non siano passati ai fatti con leggi coerenti: sarebbero lì per quello, in teoria. Il tempo non è mancato. Ma i governi della famiglia, in realtà, non hanno granché a cuore le famiglie (degli altri, s’intende: a Mediaset, come si sa, “stanno tutti bene”).
E arriviamo al punto: l’obiettivo non è aiutare la vita delle famiglie, ma complicare la vita e le libertà di tutti gli altri.
La strategia è sempre la stessa: il metus hostilis, la paura con cui ottenere il controllo e restringendo gli spazi di discussione. Come dicevamo tempo fa, è l’Islam ora il nemico alle porte (con la Francia, al momento siamo tornati a una “quasi pace”): per Salvini, le donne devono temere l’estremismo islamico e non, a quanto pare, le leggi restrittive che si vanno diffondendo nell’est Europa. La Meloni riprende il celebre motto “Dio, patria e famiglia” (cit. Giuseppe Mazzini) e, visto che in sala sale l’atmosfera di nostalgia del Ventennio, si ripropone la tassa sui celibi per contrastare l’inverno demografico: ci mancano solo gli otto milioni di baionette. Se mai ci fossero dubbi, Lucy Akello copre lo spazio per l’odio antiomosessuale. Fa quindi impressione leggere la reazione di Alessandra Mussolini, barricadera ed elegante al solito, su posizioni chiaramente femministe di autodeterminazione.
Siamo in un momento in cui l’Italia e l’Europa, che si posero (col colonialismo) e pongono come faro di civiltà del mondo, sono giunti al dunque: ridefinire i ruoli personali e sociali, i diritti e i doveri con nuovi schemi, in piena libertà per trovare una propria identità e un futuro meno cupo di decadenza e senescenza. Una prospettiva inedita che richiederebbe risposte nuove e, invece, a Verona si ripropone un ritorno in grande stile anni Quaranta in salsa putiniana (Alexey Komov), con grande soddisfazione di Forza Nuova.
Qualcuno dei 30.000 manifestanti contro il Congresso era a sfavore di facilitazioni economiche e sociali alle madri? Davvero lo si crede? Certo che no, a meno che le mamme presenti non fossero masochiste. Le donne che hanno sfilato nel corteo provita accetterebbero di venir private del diritto al divorzio e a rinunciare alle conquiste della 194? Pensano che il mondo cadrà per un uomo se ne bacia un altro? Sospettiamo cautamente di no.
Il punto è che, come dicevamo tempo fa, “A Verona la guerra sul corpo delle donne”: il simbolo e il suo potere sono la chiave per ripristinare un certo mondo di valori e placare l’inquietudine dell’esistenza. Dichiara di Maio: «Ma a Verona non ci sono andato comunque. E sapete perché? Perché il problema è che lì, la madre, non è considerata una donna». E se l’ha capito persino di Maio…