Tosi: «Fra tre anni? Mi ricandido a sindaco»
L'ex sindaco di Verona in un'intervista a tutto campo: la gestione attuale della città, il suo passato, il suo futuro.
L'ex sindaco di Verona in un'intervista a tutto campo: la gestione attuale della città, il suo passato, il suo futuro.
Flavio Tosi, a Verona, non ha certo bisogno di presentazioni. Sindaco per dieci anni, dal 2007 al 2017, oggi è consigliere di minoranza a Palazzo Barbieri. Sempre molto critico verso l’operato del suo successore Sboarina, che all’epoca del suo primo mandato era un componente della sua giunta come assessore allo sport, oggi Tosi deve gestire un periodo che per lui possiamo definire di “transizione”, in attesa delle prossime elezioni comunali che si svolgeranno nel 2022.
Tosi, partiamo dai casi di più stretta attualità: in questi giorni si è parlato molto di Croce e dell’Agsm, dalla quale è stato sfiduciato. Anche all’epoca della sua amministrazione c’erano state vicissitudini analoghe, che ora si ripetono. Che ne pensa?
«Con me Croce si è insediato come presidente di AGEC e, in meno di due mesi, lo abbiamo rimosso dalla presidenza, perché secondo me inadeguato al ruolo di pubblico amministratore. Sboarina, oltre a ripescarlo per motivi puramente elettoralistici, l’ha lasciato un anno e mezzo alla guida di AGSM, che fra l’altro è di gran lunga più importante di AGEC perché è una delle multiutility più grandi d’Italia, salvo poi doverlo anche lui rimuovere perché evidentemente si è accorto dell’inadeguatezza. Mi spiace per la città e mi spiace per AGSM.»
Il prossimo weekend sbarca a Verona il World Congress of Families, che ha destato un vespaio di polemiche. Qual è la sua idea, sul tema?
«Hanno scelto Verona perché l’amministrazione veronese, di cui il ministro Fontana è stato vicesindaco, sta prendendo una piega piuttosto retrograda rispetto ai diritti civili e in generale alla libertà di pensiero e al pensiero liberale. Una parte del mondo che si riconosce in quel congresso, di tipo integralista e che secondo me ha una visione un po’ medievale della società, ha visto in Verona e nella sua attuale amministrazione un appiglio ideale. Quando sono stato sindaco io ho dato spazio a chiunque (associazioni di destra e di sinistra, ma soprattutto a chi la pensava in maniera diametralmente opposta alla mia), però non abbiamo mai concesso alcun patrocinio da parte del Comune, che rimaneva sempre neutro. Tant’è che all’epoca ci sono stati i Gay Pride e le manifestazioni di ultradestra, con un’amministrazione che lasciava a ognuno la facoltà di esprimere liberamente le sue opinioni. Qua, invece, siamo di fronte a una piega diversa. L’amministrazione ha un’idea ben precisa, tant’è che patrocina l’evento… e staremo a vedere quali saranno i contenuti. Guardando ad alcuni relatori che saranno presenti non c’è da pensare bene, ma lasciamo che si svolga e poi valuteremo. Certo, anche la Chiesa ha preso le distanze rispetto ad alcuni contenuti. Vedere il consigliere Zelger, noto per le sue posizioni estreme, alla conferenza stampa di presentazione dell’evento non depone a favore.»
Non è la prima volta che, peraltro, si appoggiano eventi legati al mondo dell’ultradestra…
«A me preoccupa la visione esterna della città. Quando mi sono insediato nel 2007 Verona era considerata una città razzista, chiusa ecc. Ci abbiamo messo dieci anni a scrollarci di dosso quell’etichetta per farla diventare, agli occhi di chi ci guarda da fuori, una città aperta, liberale, europea, con le unioni civili e via dicendo, facendo quello che andava fatto nel solco di quella che è l’evoluzione della società di oggi. Qua invece si rischia, in brevissimo tempo, di cancellare quello sforzo fatto. Non va bene, prima di tutto da un punto di vista etico, ma anche dal punto di vista economico, turistico, commerciale.»
Capitolo autonomia del Veneto. Cosa sta succedendo?
«Maroni, lo stesso giorno di Zaia in Veneto, fa il referendum in Lombardia, dove va a votare il 40%, con campagna elettorale molto sobria e in cui vengono illustrati i contenuti dell’eventuale riforma, la prassi ecc., Zaia, al contrario, fa una campagna sparata, parlando di Trentino-Alto Adige e di tasse che rimangono in stragrande maggioranza sul territorio. Raccontando delle favole, insomma. Risultato è che in Veneto la gente è andata a votare in massa, credendo a qualcosa di non realizzabile, e oggi deve fare i conti con la realtà. Ovverosia: per la complessità del tema raccontare che in qualche mese avresti ottenuto l’autonomia significa dire una bugia, perché dal punto di vista burocratico e amministrativo è un’operazione molto complessa. Ad esempio per il mondo dell’istruzione vuol dire che tutti gli insegnanti, i dipendenti, gli immobili i costi, le strutture, devono passare dallo Stato alla Regione e già quella è un’operazione complicatissima, anche dal punto di vista sindacale. E poi c’è l’altra bugia, perché non si avranno mai indietro il 90% delle tasse. Se allo Stato l’istruzione costa 100 ti restituisce 100, ma se un’altra delega costa 40 ti restituisce 40. È una partita di giro. Quello che spendeva lo Stato, ora lo darebbe alla Regione. Si tratta comunque di un bel risultato, ma per intenderci siamo lontani anni luce dal Trentino-Alto Adige.»
Che valutazione diamo di questi due anni di Giunta Sboarina?
«Di immobilismo, di mancanza di decisionismo, di attesa. Si tende a parlare d’altro, come di questo Congresso delle Famiglie, di questioni cioè che generano scontro sociale e che di fatto c’entrano poco o nulla con la città, ma intanto si distrae l’opinione pubblica su tematiche poco rilevanti. Cos’ha fatto Sboarina di suo? Ecco, niente!»
Cosa avveniva sotto la sua amministrazione?
«Eravamo molto pragmatici. Per nulla ideologici. La parola d’ordine era fare. La mia amministrazione era veramente civica, con gente di sinistra, di destra, ma anche liberali e radicali. Ma il diktat era “si amministra la città” e quello si faceva. Qui invece c’è una deriva ideologica, non particolarmente simpatica.»
Si è immaginato cos’avrebbe fatto la sua coalizione se avesse vinto le elezioni nel 2017?
«Avremmo completato tutto quello che avevamo già iniziato. Dal traforo delle Torricelle al filobus, all’Arsenale. I grandi temi della città li avresti chiusi, perché alcuni erano già arrivati molto avanti nell’iter, mentre altri progetti – più complessi – erano quasi al punto di poter partire. Avremmo completato quello che avevamo promesso ai cittadini. Da due anni a questa parte, invece, è tutto fermo.»
Dieci anni di amministrazione. Quali sono le difficoltà che ha incontrato?
«C’è stata la sfortuna di amministrare nel pieno della crisi. Noi iniziammo nel 2007 e nel 2008 arrivò una crisi epocale. Ad esempio la tangenziale nord con il traforo… noi facemmo tutto l’iter, i vincoli, gli espropri, facemmo la gara e quando finalmente la aggiudicammo (dopo sei anni di lungaggini burocratiche) l’impresa saltò proprio a causa della crisi. Questo è forse il grande rimpianto di quell’amministrazione. Poi con l’Arsenale, i cui lavori sarebbero iniziati, ma c’è stata la revoca da parte di Sboarina. Per il resto la riqualificazione di Verona Sud è partita alla grande con Adigeo, dove prima c’era un’area industriale dismessa e oggi, invece, c’è uno dei centri commerciali più belli d’Italia. In dieci anni di amministrazione abbiamo realizzato 240mila metri quadri di verde attrezzato e oggi è in corso l’intervento alla Caserma Passalacqua che diventerà un campus universitario che sono altri 190mila euro di verde. E anche quello è un nostro provvedimento. Abbiamo quindi fatto anche “ambiente”.»
Eppure c’è chi dice che sotto l’amministrazione Tosi si sono fatti solo centri commerciali.
«Tutti i privati hanno pagato pesantemente gli interventi pubblici in termini di viabilità e verde. Adigeo ha speso 16 milioni di euro solo per fare gli svincoli sulle tangenziali, ma poi oggi c’è il Parco di Santa Teresa, di 40 mila metri quadrati, lì vicino.»
Cimitero verticale, ruota panoramica, copertura di via Mazzini. Provocazioni o non sono state capite?
«Beh, la copertura di via Mazzini era stata solo una proposta di un consigliere di maggioranza, che ha solo lanciato quest’idea, ma non c’è mai stata alcuna progettazione o messa in cantiere. La ruota panoramica c’è in tante capitali europee come Parigi, Londra, Berlino, Vienna, e si tratta in tutti i casi di strutture anche esteticamente qualificate. Fra l’altro non si sarebbe trattata di una struttura fissa, ma mobile: tu l’installi, poi se non va bene la rimuovi o la sposti. Sarebbe stato, fra l’altro, un volano turistico importante e sul turismo l’amministrazione Tosi ha fatto fare alla città passi da gigante. Le altre città limitrofe, come Mantova, Brescia, Vicenza in quegli stessi anni hanno perso posizioni, noi nel frattempo le abbiamo guadagnate. Sul cimitero verticale, infine, io resto convinto che un grattacielo di cristallo e acciaio – rispetto al problema dell’orizzontalità dei cimiteri di oggi e quindi della mancanza di spazi – rappresentasse un modo elegante per non consumare suolo. Comunque abbiamo ascoltato i quartieri, che non l’hanno voluto, e ci siamo fermati.»
Capitolo Stadio. Che idea si è fatto?
«Di un’operazione pericolosa, che da un punto di vista sportivo che non si regge in piedi. Abbiamo una squadra come l’Hellas che, se anche venisse in A, non avrebbe i numeri per reggere come invece hanno la Roma, la Juventus, l’Inter e via dicendo. Il Chievo sta scivolando, purtroppo, verso la B e quindi ancora meno. Da un punto di vista sportivo non regge.»
Sì, ma Atalanta e Udinese hanno numeri simili a quelli dell’Hellas, eppure stanno facendo o hanno già fatto impianti a dir poco meravigliosi. Perché non dovrebbe farlo anche una città come Verona?
«Quelle realtà hanno degli imprenditori dietro, come Percassi (Atalanta) o Pozzo (Udinese), che ci credono e che hanno le spalle larghe per investire in un progetto di questo tipo. Ma non è il nostro caso. Deve esserci per forza una speculazione urbanistica o la necessità di puntare su un centro commerciale e gli alberghi. Oppure si tratta di qualcosa che si fa davvero fatica a spiegarsi, perché si parla di un investimento di parecchie decine di milioni e non si capisce bene dove stia il rientro. Che poi, di per sé, non sarebbe nemmeno sbagliato, ma basterebbe dirlo apertamente.»
A proposito di impianti sportivi: recentemente il Payanini Center è stato al centro di alcune polemiche con l’Amministrazione comunale…
«Si tratta di due problemi distinti: quello della legionella nell’acqua, che è un problema sanitario e ovviamente va affrontato magari non “sputtanando” sui giornali il Payanini, ma cercando di trovare una soluzione praticabile in tempi brevi. La cosa che, però, grida vendetta è fare spegnere le luci dell’impianto non perché fuori norma, ma perché fanno troppa luce. Io avrei imposto di trovare una soluzione in un tempo ragionevole di tre, quattro mesi, per riuscire a fare meno luce. Quella di far chiudere il centro è una soluzione burocratica. Secondo me bisognava trovare una soluzione che fosse rispettabile anche dell’investimento del privato, che ci ha messo credo almeno 8 milioni di euro tutti suoi, donando alla città un centro che ci viene invidiato da tutti.»
Tornando alla campagna di due anni fa si è pentito di qualcosa? Se tornasse indietro farebbe qualcosa di diverso?
«Allora, è vero che solo chi non fa nulla non sbaglia, quindi sicuramente qualche errore è stato fatto, ma è anche vero che nel fatto negativo di aver perso oggi i veronesi possono confrontare i dieci anni di amministrazione Tosi, nel bene e nel male, con i due anni di un’amministrazione diversa. Alla prossima scadenza elettorale si vedrà cosa succederà.»
Quanto ha inciso la “questione Giacino” sul suo secondo mandato?
«Con Giacino, un amico, abbiamo fatto sette anni di lavoro amministrativo insieme e quella faccenda non è stata irrilevante agli occhi dei veronesi, che sapevano che l’avevo scelto io. Poi l’allora Procuratore della Repubblica Schinaia, tutt’altro che leghista e tutt’altro che tosiano, disse che Tosi e Leardini non si erano mai conosciuti e nel tempo i cittadini hanno capito che Tosi non c’entrava nulla e pian piano si è recuperato il rapporto con la città. Direi che rispetto alle elezioni del 2017 quella storia ha avuto poca rilevanza. Al ballottaggio – e già arrivarci non era facile – c’è stata una saldatura dove l’estrema sinistra, i grillini e tutti quelli che hanno battagliato contro Flavio Tosi per dieci anni si sono compattati, con il paradosso che l’estrema sinistra ha votato per l’estrema destra, pur di mandare a casa Tosi. L’abbiamo pagata come coalizione.»
E il famoso “caso-Report” quanto ha inciso?
«Ha inciso forse più del caso Giacino. Nel momento in cui una trasmissione televisiva nazionale dice che Tosi ha rapporti con la ‘ndrangheta… chi ti è vicino non ci crede, chi ti è nemico ci crede a prescindere, ma chi è in mezzo magari ci crede in parte o comunque gli viene qualche dubbio. Anche lì, a distanza di anni, la cosa è sfumata del tutto. D’altronde in un decennio mai un dirigente del Comune di Verona è stato indagato per mafia, Flavio Tosi e men che meno i suoi assessori. Poi Croce, che era uno dei principali artefici di quella trasmissione, ha dimostrato la sua credibilità e quella della trasmissione. Sul momento, però, fece del danno, è indubbio. Quando ti buttano del fango addosso una parte te la togli, ma una parte ti resta.»
Come giudica la sua capacità di scegliere i suoi collaboratori?
«Io sono abituato a difendere prima la squadra di me stesso. Oggi una larga parte del mondo politico antepone se stesso al gruppo e quindi è un fatto di etica personale e figlio della politica di oggi. Un tempo c’erano i partiti, le ideologie, c’era un minimo di convinzione in ciò che si faceva. Oggi non si crede più in nulla.»
C’è qualcuno che l’ha delusa più di altri?
«Facendo una classifica ideale di chi deve di più a Flavio Tosi direi che il ministro Fontana e il sottosegretario Coletto brillano per coloro che quasi tutto di quello che hanno raggiunto l’hanno ottenuto grazie a me. Poi si sono comportati come meglio hanno creduto.»
Qual è il suo rapporto con Fabio Venturi?
«Da un punto di vista personale molto cordiale. Cerco sempre di distinguere il rapporto personale da quello politico.»
Politicamente si immagina ciò che potrà succedere fra tre anni?
«Potrebbe essere che una parte della squadra che lavorò insieme durante quei dieci anni si ricomponga, ma non lo posso prevedere con certezza.»
Lei qualche anno fa era uno dei sindaci più amati d’Italia. Oggi sa già cosa farà da grande Flavio Tosi?
«Il mio primo pensiero è sempre la città di Verona. Ho rinunciato al Parlamento Europeo per rimanere sindaco. Potranno esserci delle parentesi da qui alle prossime comunali, ma l’obiettivo rimane quello di candidarmi sindaco. D’altronde, pur avendo svolto diversi ruoli, in politica, quello di Sindaco rimane quello più bello, proprio per il rapporto di vicinanza che si ha con la cittadinanza.»