Se fosse ancora vivo, l’autore della canzone di protesta più celebre della storia della musica italiana oggi festeggerebbe il suo novantacinquesimo compleanno. L’aspetto stravagante è che Giuseppe Casarini è pressoché sconosciuto al grande pubblico. Di sicuro molto meno di un altro modenese come Francesco Guccini e in maniera inversamente proporzionale al suo brano più noto: Quarantaquattro gatti, caposaldo della musica per bambini giusto da mezzo secolo.

Pippo Casarini

Sgomberiamo fin da subito il campo da ogni possibile ironia: il pezzo, uscito nel 1968, è senza alcun dubbio superiore al valore percepito dal grande pubblico. Un po’, se vogliamo, come l’Arlecchino di Carlo Goldoni. Tutto ciò a prescindere anche dal fatto che, nel corso dei decenni, l’abbiano interpretato alcuni mostri sacri del mondo canoro. Come, ad esempio, Luciano Pavarotti, il concittadino più illustre di “Pippo” Casarini. Che volle addirittura cantare la celebre canzone nello studio di casa accompagnato al pianoforte direttamente dall’autore, scomparso nel 2015 alla veneranda età di 91 anni.

I gatti sessantottini

Il valore dei brani musicali lo si misura col tempo. E ancora oggi, anzi, ancor più nel 2019, unitamente al secondo livello di lettura del testo, quello di Quarantaquattro gatti appare intatto. Anzi, ha maturato attributi tali da poter essere convertito in un potenziale inno di qualsiasi movimento politico tra quelli che cavalcano un qualsivoglia malcontento popolare. A metà strada tra i Gilet Gialli e i fautori del reddito di cittadinanza, tra i sostenitori del “prima gli italiani”, gli antiabortisti e i no-Tav, la canzone presenta un ideale compromesso tra una sorta di desiderio di partecipazione e un canalizzatore della rabbia nella rivendicazione dei propri più o meno sacrosanti diritti.

Il tutto al netto dell’innocente chiave di lettura di un gruppo di gattini, metafora utilizzata per descrivere la realtà dei collettivi nati nelle università e nelle fabbriche che sembrò guidare il fenomeno socio-culturale del “Sessantotto” e il fermento che stava imperversando nel mondo occidentale. La vicenda dei micetti che, dopo aver preso atto della situazione da docili e mansueti decidono di scendere in piazza a marciare, anticipò solo di qualche settimana il maggio che sconvolse la Francia e ispirò altre proteste che coinvolsero in maniera eterogenea studenti e lavoratori anche per aggregazione spontanea.


Barbara Ferigo allo Zecchino d’Oro 1968

La vittoria allo Zecchino d’Oro

Erano anni in cui l’opinione pubblica si divideva – e per certi versi si divide tuttora – in due blocchi contrapposti. L’apprezzamento per un movimento finalmente consapevole che stimolava la coscienza civile si scontrava con chi alimentava un netto disprezzo per una protesta ritenuta espressione di un grottesco anticonformismo dei figli della classe borghese schierati contro i propri padri.

Il tutto accadeva mentre nel proprio studio il professor Casarini, quarantaquattrenne insegnante di musica alle scuole medie di Nonantola, metteva mano allo spartito. Due sole settimane di lavoro gli furono sufficienti per sfornare un pezzo che seppe cogliere lo spirito del tempo. A suo modo, un capolavoro. Un brano in grado di catturare l’immaginazione di tutti a partire da quel marzo di sessantuno primavere fa. Un merito che condividerà con Barbara Ferigo, bimba goriziana di poco più di quattro anni, incoronata da Mago Zurlì vincitrice a mani basse della decima edizione dello storico Zecchino d’Oro. Un successo strepitoso che ha consacrato anche lei all’italica immortalità canora.

In fila per sei col resto di due

Le parole del brano raccontano di un’assemblea in cui «gattini senza padrone», ordinatamente disposti «in fila per sei col resto di due», organizzarono una riunione per chiedere «un pasto al giorno e all’occasione» e «poter dormire sulle poltrone».

I gatti del ’68 sapevano già che, così come nel nuovo millennio, solo una sparuta minoranza fa nulla per nulla. Tesero così le zampe verso gli umani proponendo un accordo: in cambio, avrebbero dato ai bambini il permesso di giocare liberamente con loro, concedendo pure qualche tirata di coda. Conclusa l’assemblea, i felini presero a marciare fieramente nel cortile, sempre «in fila per sei col resto di due».

Un testo perfettamente riciclabile da qualsiasi forza politica dell’Italia della Terza Repubblica. Ideale in un’epoca in cui, grazie a Instagram, quattro gatti possono essere facilmente spacciati per quarantaquattro. O quarantaquattromila. Sempre e comunque col resto di due.