E se il Futurismo fosse stato un movimento precursore del Femminismo?

«Sono lieto di dichiarare che la signorina Barbara è una aeropittrice geniale e che con quadri importanti ha partecipato alla ultima Biennale Veneziana. [… ] Ho molta fiducia nel suo ingegno pittorico», diceva di lei Marinetti.


Oggi vi raccontiamo di Olga. O, meglio, di Barbara. Così si faceva chiamare Olga Biglieri Scurto, ribattezzata poi da Filippo Tommaso Marinetti “Barbara dei colori” quando aderì, con passione e inventiva, al Futurismo italiano. Lei fu tra le donne più entusiaste di far parte di quel movimento che, agli occhi dei più, era quello che voleva “uccidere il chiaro di luna”, che predicava una rivoluzione di una famiglia troppo simile a una «mescolanza di vecchi, invalidi, donne, bambini, porci, asini, cammelli, galline e sterco» e che sosteneva, glorificandolo, il «disprezzo della donna».

Vi raccontiamo di lei, solo di lei, ma non si possono trascurare tutte le altre, da Maria Giannini a Enrica Piubellini, collaboratrici della rivista “Poesia” e autrici di tavole parolibere di gran importanza per il movimento futurista. C’è stata poi Giannina Censi, aerodanzatrice che di Marinetti interpretò le poesie del nuovo secolo con una danza «disarmonica, sgarbata, antigraziosa, assimetrica, sintetica», insomma pienamente futurista.

Olga Biglieri Scurto (Barbara)

Bellissima e libera da vincoli, Giannina rivive oggi nelle sue memorie, condite da aneddoti divertenti come quello in occasione di un’esibizione a Brindisi: «Ci regalarono un enorme cesto, non di fiori, ma di legumi! Cipolle, carote, cavoli, peperoni, zucchine e altro, tutti riuniti in bella vista, tanto che facemmo una foto ricordo. Cesto che poi lasciammo al portiere del teatro che ci ringraziò per il magnifico minestrone che avrebbe poi gustato». E poi Tina Cordero che firmò Velocità, capolavoro del cinema futurista.

E allora perché tutte queste donne ad animare e rinvigorire un movimento che sembrava disprezzarle? Semplicemente perché il Futurismo voleva solo rovesciare i concetti più banali di femminilità, voleva una donna libera, indipendente, aggressiva e capace di gettarsi nel mondo con assoluta indipendenza. Non era più la donna privata dalle sue energie, debilitata dalla morsa del “guinzaglio” familiare. La donna… le donne, dovevano essere «un esercito agguerrito e anticonvenzionale di scrittrici, intellettuali, pittrici, fotografe, cineaste e danzatrici, pronte a tutto, soprattutto a rovesciare i concetti più banali di femminilità», come scrive lo storico dell’arte Gabriele Simongini. Insomma il Futurismo anticipò il Femminismo di parecchi anni.

Chi era invece Barbara? Barbara nasce a Mortara ma il suo destino è legato prima a Novara, dove si forma in un ambiente conservatore e borghese e poi a Verona, dove entra a far parte del gruppo futurista Umberto Boccioni, dedicato proprio a quello che fu il più grande della loro schiera di artisti. Il gruppo nasce qualche anno dopo la morte dell’artista, anche per questioni anagrafiche di chi lo compone. Boccioni muore nell’agosto del 1916 e quelli che saranno i componenti del futuro gruppo erano nati da poco tempo e solo dopo si ritroveranno, uniti dalla comune anima futurista, a ricordarlo.

Nel gruppo Barbara conosce Ignazio Scurto, giovane poeta che sposa e dal quale avrà due figlie. Non era un «tipo da ago e filo», la madre se ne era accorta. Le sue amiche dicevano «o Signore, questa vola». Lei era così, veramente! E non per leggenda. Ha iniziato presto a colorare, in assoluta autonomia e solo successivamente coadiuvata da un pittore classico del novarese, tal Lampugnani.

Vomito dall’aereo

Agli studi, segretamente, frequenta lezioni di volo a vela facendo così emergere, sempre più, il suo carattere avventuroso, fuori dagli schemi che la portò, appena diciottenne, a ottenere il brevetto di pilota. Una delle prime donne al mondo a essere pilota. Arte e aviazione, in simbiosi. E nell’arte, come nella vita di tutti i giorni a rompere gli schemi, in tutti i sensi. Soggetti, colori, tecnica, prospettiva tutto tende al movimento. Da qui nascono le tele Vomito dall’aereo e L’aeroporto abbranca l’aeroplano, celebrazione di battaglie aeree e acrobazie, racconti della vittoria militare nei cieli.

Sapeva ciò che voleva: «Essere l’unica donna pilota e pittrice del movimento». Ci riuscì e lo fu. Partecipò nel 1938 alla Biennale di Venezia per volere di Marinetti risollevando, assieme agli altri veronesi, le sorti di un movimento che, dal punto di vista artistico, cominciava a risentire. Furono sempre loro a provocare come non mai, in un decennio, che di lì a poco, li avrebbe coinvolti tutti nel terribile vortice della Seconda guerra mondiale: l’inizio della fine.

L’aeroporto abbranca l’aeroplano


L’ultimo quadro di Barbara di quell’epoca così frenetica e accesa è Battaglia aerea. Ma non c’è più il trionfo. Non ci sono più le grandi scene di guerra. Il soggetto ora è il decadimento delle prodezze aree, la morte. «Due arei duellano in volo, un altro precipita lasciando una scia scura e in basso un profilo di donna», forse proprio lei, Barbara, che assiste alla scena. È il 1943 quando scompare dal movimento futurista e si dedica alle sue due bambine assieme a un marito che torna dalla guerra «minato nel fisico e nella mente» e che, in quei lunghi anni di conflitto, aveva a malapena conosciuto. Ignazio mancò nel 1954, pochi anni dopo la fine di quel periodo folle.

Poi, devastata dal dolore per un passato che, con ammirevole coerenza e lucidità, mai negò che l’avesse coinvolta nell’esaltazione dell’aggressività, aderì dapprima al Movimento Femminista per poi approdare al Pacifismo. Sua è la famosa opera L’Albero della pace, lunga tela lunga 10 metri e larga 1,80, sulla quale sono impresse centinaia di mani colorate, a formare un gigantesco albero. Nel 2000 è stata candidata al Premio Nobel per la pace.

Questa era Barbara, una donna futurista che deve essere ricordata e che dovrebbe essere studiata anche a scuola. Cosa che, inspiegabilmente, non avviene.