«Io penso e dico che è molto insolito che una moglie di un calciatore ricopra un ruolo manageriale di procuratore. Personalmente credo sia una cosa molto fuori dalle righe. Probabilmente lascerei una persona imparziale e fuori dalle mura domestiche a gestire e fare questo mestiere.»
A leggerle così, viene il dubbio che chi ha pronunciato queste frasi sia vissuto nel secolo scorso e reputi la donna una sorta di essere inferiore, tutta dedita alla cura del marito oltre che alla casa e ai figli. Invece sono state dette domenica scorsa, esattamente tre minuti prima della ormai celebre affermazione sessista e sgangherata di Fulvio Collovati su donne, calcio e tattica. Ugualmente sbalorditive, omesse nella ricostruzione della vicenda, va specificato che le parole di cui sopra non sono uscite dalla bocca dell’ex calciatore. Ci torneremo comunque più avanti.
In principio fu il fuorigioco
Fino a qualche anno fa, secondo l’immaginario maschile l’ostica regola dell’offside impediva al sesso femminile di comprendere la quintessenza del gioco del calcio. L’emancipazione è stata conquistata solo in epoca recente, proprio come la libertà di voto. Decisivo fu, nel gennaio del 2011, un episodio talmente sguaiato da generare una presa di coscienza collettiva sul fatto che, sì, pure le donne erano in grado di comprendere le curiose dinamiche della Regola 11 e, per proprietà transitiva, quelle del gioco del pallone. Il merito è da ascrivere a due commentatori televisivi che, a loro insaputa, pensando di avere i microfoni spenti, nel corso di una partita di Premier League trasmessa in diretta si lasciarono andare a commenti tali da trasformarli in assist per i fautori della parità dei sessi negli stadi.
Succede che a un certo punto di Wolverhampton–Liverpool Fernando Torres segna sul filo dell’offside e l’assistente dell’arbitro, che è una donna, tiene la bandierina abbassata. In studio a Sky Sport (UK), in attesa del collegamento, c’è una famosa coppia di commentatori che evidentemente non sono d’accordo con la decisione di convalidare il gol. Fuori onda, parlano tra loro, certi che la marcatura sia da annullare per un evidente fuorigioco. Sono una coppia piuttosto famosa in Gran Bretagna. Uno è Andy Gray, ex ruspante centravanti del campionato inglese tra gli anni Settanta e Ottanta. L’altro è Richard Keys, noto giornalista e anchor di Sky. Tra il serio e l’ironico, se ne escono con una serie di battute su miss Sian Massey, venticinquenne guardalinee alla sua seconda presenza assoluta in Premier e responsabile di aver convalidato la rete.
Aveva ragione lei
«Qualcuno dovrebbe andare in campo a spiegarle come funziona il fuorigioco» dice Keys. «Puoi crederci? Un guardalinee donna. Le donne non conoscono la regola del fuorigioco», gli fa eco Gray. «Certo che no», risponde l’altro, rincarando la dose con la certezza che l’errore rovinerà la partita. Poi cita in accezione negativa altri personaggi femminili nel mondo del calcio britannico fino a quando Gray chiude il conto con una battuta da pub: perché viene usata la parola linesmen (letteralmente “uomini della linea”) anche per le guardalinee donna?
Difficile far passare il dialogo come irriverente ironia british in stile Monty Pyton o umorismo da camerata maschile. Il troppo è troppo e oltretutto, mentre Sky licenzia in tronco entrambi con l’accusa di sessismo, i replay televisivi dimostrano che in realtà il gol era regolare. Al contrario di quanto Keys e Gray pensavano, la Massey aveva fatto benissimo a non sventolare la bandierina. Anzi, riceve tanti complimenti per aver saputo valutare correttamente nonostante la difficoltà della veloce dinamica dell’azione. Insomma: la lineswoman ci aveva visto giusto, al contrario di un ex calciatore maschio alfa e un giornalista con un esperienza trentennale alle spalle. Che pensavano che il fatto di essere donna fosse determinante per certificarne l’incompetenza.
Quelli che la tattica
Nel 2011 diventa così di dominio pubblico che entrambi i sessi sono finalmente in grado di comprendere la regola del fuorigioco. I dubbi invece sembrerebbero invece persistere sulla capacità di lettura tattica delle partite, almeno a sentire Fulvio Collovati. Come ormai tutti sanno, domenica scorsa, durante un programma Rai, il già campione del mondo nel 1982 con la nazionale italiana si è lasciato andare a un’intemerata sull’incapacità femminile di analizzare una partita di calcio. Una sortita che ha generato un slavina in termini reputazionali ai danni dell’ex calciatore, nel frattempo sospeso per due settimane dall’emittente.
Letto così, «Le donne non possono parlare di tattica, quando sento che lo fanno mi si rivolta lo stomaco», è un concetto indifendibile. In realtà, proviamo a contestualizzare l’episodio. Non per scagionare Collovati, ma per provare a ragionare diversamente e a elaborare una lettura parallela rimasta schiacciata dalle parole scomposte pronunciate in tv dall’ex difensore. Il quale, come in fondo è emerso a posteriori, voleva sostenere un’altra cosa rispetto a quanto ha detto e la concitazione e il fastidio del momento ha generato in lui una sorta di sillogismo aristotelico alla rovescia trasformando un giudizio parziale in assoluto.
La wag e la Rai
Sara Piccinini è una delle wags inviate alle partite nell’ambito del programma “Quelli che il calcio”. Curiosamente è presentata in trasmissione – sottopancia inclusi – con il cognome del marito (Federico Peluso), calciatore del Sassuolo, anziché il proprio, come avveniva in epoca prerivoluzione francese, quando le donne erano costrette a modificare il proprio cognome sostituendolo con quello dell’uomo che sposavano.
Dall’aspetto gradevole – il che non guasta nell’economia dello show, che ha un taglio leggero – la Peluso/Piccinini compare nei collegamenti dagli stadi in cui gioca la formazione emiliana. Tra battute e risate, la ragazza ogni tanto si inoltra in analisi tattiche. Di primo acchito è evidente che la dialettica non sia da esperta, il che talvolta amplifica l’insipienza degli interventi. Amen, qualcuno dirà: se piace al pubblico, che male c’è?
Invece, a un certo punto qualcuno ha detto stop. A Fulvio Collovati, azzurro di Spagna ’82 con alle spalle 570 presenze da professionista ad alto livello, domenica è saltato il tappo. Anzi, è esploso, tanto da far tracimare una valutazione individuale in un giudizio complessivo sull’intero universo femminile. Quando, forse, voleva solo sostenere un ragionamento banalissimo: essere la moglie di un calciatore non è sinonimo di competenza in materia e ci vorrebbe più consapevolezza dei propri limiti quando si prende la licenza di commentare e valutare il lavoro di professionisti, oltretutto colleghi del marito.
La donna casa e marito
In un’epoca in cui è costante il rischio che l’opinione di un esperto e di un dilettante per un certo tipo di pubblico abbiano la stessa valenza e dignità, chi ha vinto una Coppa del Mondo stavolta non ha resistito a far sapere al proprio interlocutore che a tutto c’è un limite. È evidente che lo abbia fatto nel modo sbagliato e attraverso una generalizzazione sessista da censurare quanto suicida.
La figuraccia di sicuro resterà epica. Non sarebbe però l’unica se non fosse che – e qui torniamo alla frase iniziale – svanito nell’etere un intervento che ha preceduto quello di cui tutti oggi parlano. «Io penso e dico che è molto insolito che una moglie di un calciatore ricopra un ruolo manageriale di procuratore. Personalmente credo sia una cosa molto fuori dalle righe. Probabilmente lascerei una persona imparziale e fuori dalle mura domestiche a gestire e fare questo mestiere».
Frasi ugualmente sessiste e retrograde sempre pronunciate a Quelli che il calcio rispondendo alla richiesta di Luca Bizzarri di esprimere un giudizio su Wanda Nara. In questo caso, i pensieri e le parole sono di Sara Piccininio Peluso, dal cognome del marito con cui, come detto, si presenta in tv. La stessa persona dipinta come la principale vittima del sessismo di Collovati, che si prodiga in improbabili letture tattiche, sostiene che la “collega” Wanda sarebbe meglio si limitasse a fare la moglie. Proprio un bel calcio: sì, all’emancipazione femminile.