La dieta mediterranea, tipica del nostro Paese, assume varietà molteplici, a seconda della zona geografica, della carenza o disponibilità di certi prodotti e delle abitudini e tradizioni di ognuno. A Verona, nel pranzo domenicale non può mancare la pearà, salsa a base di pangrattato e brodo, che accompagna un trionfo di carne di ogni tipo, arrosto e bollita. Ed è innegabile una presenza di origine animale in tantissimi piatti tipici, preparati con verdure o sfumati con il vino, ma sempre a base di carne.
Non serve aspettare l’edizione 2020 di Eurocarne per parlare di un tema controverso come l’opportunità di mangiare prodotti animali, che diventa subito bisogno imprescindibile o gesto inutile e crudele a seconda della fazione. Vegetariani e vegani, da un lato, raccontano la situazione insostenibile degli allevamenti intensivi, producono video agghiaccianti di abusi e ritengono che le proteine animali siano facilmente ed efficacemente sostituibili con quelle di origine vegetale, legumi e soia in testa. Dall’altro, il popolo degli onnivori reclama diritti ancestrali di sfruttamento degli animali, partendo dalla Preistoria, nientemeno, vantando i mille benefici del consumo di carne e sostenendo la pluralità delle fonti di alimentazione come importante difesa contro le carenze metaboliche.
Noi italiani pensiamo di essere avidi consumatori di carne, ma una ricerca Ismea, su richiesta di Coldiretti, mostra che siamo in realtà il popolo meno carnivoro d’Europa: i nostri 79 kg annui pro capite sfigurano contro i 109,8 kg consumati dai danesi, al primo posto continentale, per sparire quasi di fronte agli incredibili 222 kg annui degli statunitensi. Il tipico collegamento tra il consumo esagerato di carni e le malattie cardiovascolari più comuni trova un fondamento proprio in quell’aggettivo: esagerato. Mentre per gli americani esistono un problema obesità e un’incidenza di infarti cardiaci decisamente superiori al resto del mondo; per l’Europa si tratta di statistiche molto più rassicuranti. Gli europei mangiano carne, qualcuno pure tanta, ma a livello medio stanno bene.
Se sia la dieta completa di tutte le componenti a farli stare bene o se sia la carne buona e in giusta misura a ottenere il risultato, lo lasceremo decidere ai tifosi dei due schieramenti. Qui basti segnalare che nel nostro Paese, dopo sei anni di calo continuo, dal 2018 si è invertita la tendenza e i consumi di carne registrano una ripresa del 5% per tutte le tipologie. Coldiretti fa notare una crescita senza precedenti della cosiddetta “bistecca DOC” , cioè di quel prodotto italiano, meglio ancora se locale, di sicura provenienza e razza ben definita, che ha visto un aumento dei consumi addirittura del 20%.
Segno che qualcosa sta in effetti cambiando, lato carnivori, ma anche sul fronte degli antagonisti. Eurispes, in uno studio di fine 2018, afferma che due terzi dei vegani sono tornati a una alimentazione onnivora. Alla conta, sono ora lo 0,9% della popolazione (il 7,6% includendo anche i vegetariani), per il 70% donne e con il più forte incremento nella fascia 18-24 (che vale, però, solo un 2% del totale). Il dato sorprendente è che erano il triplo nello studio analogo di fine 2017 e le motivazioni date per questo dietrofront riguardano la salute, la curiosità ormai soddisfatta e anche, con buona pace degli animalisti, la semplice voglia di carne.
Eh già, perché non si può prescindere, in una valutazione corretta di questo tema, dal gusto e la consistenza della carne, non ripetibili nei prodotti sostitutivi, e dalla nostra innata voglia di mordere e strappare, di sentire il sangue. Siamo bestie anche noi, a volte ce ne dimentichiamo, e ci resta più o meno inconscia quella necessità ancestrale di cacciare e mangiare la preda. Che la sopravvivenza non sia più a rischio è un dato di fatto; ma lo è anche il richiamo della foresta, il richiamo del nostro stesso organismo che quando è un po’ giù “pretende” un certo tipo di cibo, a volte Nutella a volte hamburger.
Entriamo in crisi quando a questa insopprimibile voglia si contrappone in uno strato ben più razionale la nostra indole animalista. A nessuno piace l’idea di uccidere, siamo decisamente oltre il primitivo mors tua vita mea e il nostro cervello ha elaborato sentimenti più delicati del Neanderthal medio (non per tutti allo stesso modo, ma ci siamo capiti) che ci costringono all’esame di coscienza prima di soddisfare iil bisogno.
Un modo per mettere in pace i nostri personali Dr. Jekyll e Mr. Hyde potrebbe consistere nella maggiore attenzione a quanta e soprattutto quale carne mangiamo, riducendo le porzioni settimanali, ma senza eliminarla del tutto. È importante essere curiosi, ricercare e scoprire che tipo di carne acquistiamo, anche al ristorante, quale ne sia la provenienza e come vengano allevati gli animali. Vogliamo quindi leggere il notevole incremento della “bistecca DOC” come una nuova consapevolezza degli italiani sull’aspetto etico e ambientale, non trascurabile vista l’incidenza dell’allevamento nello sfruttamento di energie e l’ancora limitato ricorso alle economie circolari, peraltro possibili.
Sottoscrive questa tesi Luca Lorenzoni, titolare della Macelleria Luca nel quartiere delle Golosine a Verona:
«Quando il mercato ha iniziato a mostrare cedimenti, a causa di quella che per tanti è stata la moda del veggy chic, mi sono trovato a dover ripensare il mio lavoro. Ho scelto di puntare su prodotti di alta qualità provenienti dalla filiera locale, ho visitato di persona gli allevamenti e parlato con i lavoratori. Tutti possono trovare una bistecca o un pollo annacquati e insipidi al supermercato, mentre io volevo offrire qualcosa di completamente diverso». E infatti, negli anni, Luca ha selezionato un allevamento specializzato per ogni tipo di carne, che condivida gli stessi suoi valori di attenzione all’animale vivo, ma anche negli ultimi istanti della sua vita. Si è spinto anche oltre, in questa forma di rispetto per l’animale, arrivando a eliminare tutti gli sprechi, in utilizzi primari a crudo e gustose preparazioni gastronomiche, educando i suoi clienti alla cultura degli “avanzi”, al riuso nobile di quanto non si è mangiato in prima battuta.
Un concetto, questo, portato avanti da un giovane allevatore della Lessinia, Andrea Lughezzani, coi suoi manzi di razza Angus, decisamente non autoctona ma che si è ben adattata al nostro clima e fornisce carni di pregio. Nell’azienda di famiglia, il rustico Agriturismo Alpino a Cappella Fasano, vengono proposti piatti tipici veronesi e le carni sono diverse ogni volta, a seconda di quali parti del manzo siano di volta in volta rimaste disponibili. La scelta di macellare solo un animale alla volta e di effettuare una frollatura lunga non sono sicuramente commerciali in senso stretto, ma il risultato è evidente al palato: una carne di qualità superiore.
Da vero allevatore di montagna, Andrea crede nel diritto di sfruttamento dei suoi animali, ma anche nell’impegno a dar loro una vita di pascolo libero, alimentazione corretta e controllata, senza uso di ormoni e limitando i medicinali ai minimi di legge: «Hanno ragione i vegetariani: io le bestie le mando a morire – spiega –; ma sono sempre io che le faccio venire al mondo con le mie mani, controllo che stiano bene e vado per pascoli a cercarle se non tornano la sera. Sono io quello che sceglie quale mandare al macello, alla fine; sento quale è pronta e lo faccio senza rimorso, nel pieno rispetto del ciclo della vita che mi è stato tramandato dalla mia famiglia». Una conciliazione tra etica animalista e istinto primitivo si può e si dovrebbe ricercare quindi nella scelta di fornitori locali e attenti, che individuino allevatori responsabili, in una filiera che dia alla vita il giusto valore. Se non funziona, possiamo sempre ricorrere alla soluzione di Douglas Adams nella sua famigerata e meravigliosa Guida Galattica per Autostoppisti. Adams estremizza per provocare, è un vegetariano convinto e dotato di ironia, con cui si inventa l’incredibile mucca suicida, un animale creato in laboratorio che nasce già con il desiderio di morire, così da farci sentire meno in colpa.
Almeno finché non arriverà la carne sintetica di cui tanto si parla, prodotta da una lenta coltura di cellule estratte dai muscoli del manzo, totalmente cruelty-free: una scelta a impatto etico zero che potrebbe anche rivelarsi gustosa, se tutti gli investimenti della Memphis Meats, che ha messo a punto l’invenzione, si riveleranno azzeccati e se il sapore riuscirà alla fine a tenere a bada quella “bestiaccia” che vive dentro di noi.