Fra le iniziative che a Verona sono state intraprese in vista della Giornata della Memoria, che ogni anno il 27 gennaio ricorda le vittime della Shoah, c’è anche un’interessante mostra ospitata in questi giorni (dal 22 al 29 gennaio) nei locali al terzo piano della Società Letteraria, in Piazzetta Scalette Rubiani, 1.
L’esposizione, dal titolo I luoghi del Ventennio – Le persecuzioni, è a cura del collettivo Magazzino Verona (che si ispira nel nome alla rivista futurista “Verona Magazzino”, pubblicata nella nostra città nel biennio 1934-35) ed è patrocinata dalla Comunità Ebraica di Verona. Attraverso l’occhio di alcuni fotografi veronesi, che hanno aderito volontariamente al progetto, vengono evidenziati i luoghi protagonisti nella nostra città di quel tormentato periodo storico che porta il nome di Fascismo.
Si tratta della prima parte di una serie di mostre fotografiche che si succederanno nei prossimi mesi anche in altri spazi cittadini e che costituiranno la base per comporre un volume fotografico, di oltre 240 fotografie, che verrà pubblicato in primavera.
Lo scopo dell’iniziativa è evidentemente quella di ravviare la memoria di alcuni luoghi della nostra città, tristemente protagonisti in passato e che, a distanza di oltre settant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, stanno pian piano sbiadendo nel loro significato intrinseco. Attraverso il recupero di questa memoria, invece, e grazie alla reinterpretazione di quei topos immortalati come sono oggi – con tutti i loro inevitabili cambiamenti urbanistici – si evidenzia l’iniziale vocazione dell’edificio, attraverso il sensibile occhio del fotografo, che coglie aspetti tuttora drammatici e li sottolinea, con l’uso sapiente della macchina fotografica.
Passeggiando fra i pannelli espositori e accompagnati dalle guide-volontarie di Verona Magazzino, si scoprono così le villette di Borgo Trento che hanno ospitato i gerarchi nazisti, i meandri e gli angoli più nascosti del Ghetto Ebraico (quella zona delimitata fra Piazza Erbe, Via Mazzini, Via Quattro Spade e Corso Portoni Borsari), i solitari binari di Porta Vescovo, da cui partivano i treni carichi di deportati verso i Campi di Concentramento, o i muri che costeggiano il Santuario della Madonna di Lourdes, un tempo forte austriaco e luogo di fucilazioni. Si scopre anche quale fu l’utilizzo del Palazzo dell’Istituto Nazionale Assicurazioni (INA), in bella vista in Corso Porta Nuova vicino ai Portoni della Bra, dove vennero rinchiusi e torturati decine e decine di ebrei. Si scoprono, infine, le drammatiche “maschere” che adornano i muri dell’edificio in via Mazzini, che in passato ha ospitato alcuni centri commerciali, e che un tempo era un teatro, ormai in disuso.
Insomma, arriva allo stomaco – diretto come un pugno – un messaggio storico forte e deciso, creato magistralmente attraverso quella che possiamo senz’altro definire una vera e propria scelta fotografica: le grate e le inferriate in primo piano, le inquadrature angoscianti di alcuni palazzi ripresi dal basso verso l’alto, le persone sfuocate sullo sfondo o i gesti silenziosi di chi oggi si avvicina inconsapevole a questi angoli, spesso frequentatissimi dai veronesi (si pensi alla movida di Piazza Erbe) e dal passato controverso e inquietante. La scelta del bianco e nero, che rende le foto neutre e toglie ogni possibilità di influenzare, positivamente attraverso il colore, il giudizio di chi guarda. Il pubblico viene così trasportato in un’epoca che oggi appare lontana, ma che in fondo è ancora fin troppo vicina a noi, nel tempo e nello spazio.
Si tratta di un’operazione di valorizzazione della nostra storia sanguinosa e che si trova proprio in questa sorta di linguaggio volutamente “estremo”, che conduce per mano il fruitore della mostra verso una nuova presa di coscienza, da tenere sempre vigile e che non deve mancare mai.