Michele Pedrazzi, in arte Bob Meanza, vive da tempo nella capitale tedesca, dove anima la scena musicale

La capitale della musica elettronica in Europa? Ma è Berlino, bellezza. E allora dove se non all’ombra del Reichstag poteva finire un musicista veronese, guru dell’elettronica ma non solo, che aveva voglia di allargare insieme alla propria compagna i propri orizzonti? E proprio lì, infatti, è finito, ormai otto anni fa, Michele Pedrazzi, che da allora è parte con le sue performance della scena musicale tedesca. Classe 1978, conosciuto anche con lo pseudonimo di Bob Meanza, il musicista scaligero ha preso armi (cioè i suoi strumenti musicali) e bagagli e si è trasferito con la sua ragazza Francesca a Berlino, raggiungendo quello che per molti è appunto considerata un po’ La Mecca della musica elettronica del nostro Continente. Da allora, agosto 2011, decine e decine di concerti lo hanno prima lanciato e poi confermato come uno degli animatori della scena sperimentale berlinese. Una scena in continua evoluzione e che vive di contaminazioni, sperimentazioni e improvvisazioni di ogni genere: da quella di natura jazzistica alla cosidetta “Echtzeitmusik”, una peculiare formula mitteleuropea. Durante le vacanze di Natale è tornato nella sua città, per trovare amici e parenti. E con l’occasione lo abbiamo incontrato.

«Ho iniziato a suonare da piccolo perché avevo un pianoforte in casa, usato qualche volta da mio papà» ci racconta prima di un concerto con i suoi vecchi amici del gruppo veronese Kunfufunk. «Cominciai così a strimpellare e questa attività mi veniva meglio di altre cose. Poi mi sono fatto regalare il computer e nel frattempo ho cominciato a sviluppare altri interessi, come il disegno. Ancora non ho capito bene quale sia la mia vera dimensione, ma forse è un mix di composizione, regia, concetto creativo, che spesso ha a che fare con l’elettronica.» E infatti a Berlino oggi Pedrazzi lavora da freelance come designer audiovisivo e multimediale. Collabora in particolare con alcuni studi che si occupano di allestimenti museali, mostre e installazioni di vario genere. «Se c’è un museo che ha un contenuto particolare da mostrare, come ad esempio un’esposizione sul concetto di proprietà intellettuale, mi chiama e insieme cerchiamo di capire come tradurre quest’idea in un percorso museale. Proiettiamo sulla parete delle figure metaforiche, qui mettiamo un piccolo monitor, là proponiamo una postazione interattiva e così via. Inseriamo luci, suoni, musica.» Ecco, la musica, quella elettronica in particolare, che rimane sempre almeno in sottofondo, come elemento cardine di tutto.

Pedrazzi impara fin da giovanissimo i linguaggi di programmazione musicale, ma nel tempo frequenta maestri che gli cambiano la visione, come – fra gli altri – Fabrizio Puglisi o il veronese Riccardo Massari. Suona in vari progetti musicali il piano elettrico e i sintetizzatori. Nel frattempo si iscrive a Bologna alla Facoltà di Scienza delle Comunicazioni, diretta da Umberto Eco, e una volta laureato, viene ammesso al dottorato in Semiotica. Per rendersi autonomo, però, lavora in un negozio di strumenti musicali e comincia a muovere i primi passi nel lavoro di installatore multimediale e designer. Le prime esperienze sono a Genova (con il Teatro del Suono di Andrea Liberovici) e a Milano, con Studio Azzurro. Nel frattempo a Bologna finisce il dottorato, però non prosegue l’attività accademica. «Avevo fatto una tesi sul linguaggio dell’improvvisazione, in musica e non solo» racconta. «Ero, però, sempre un po’ alieno a quel mondo e il mio era anche un argomento relativamente nuovo, che ho affrontato con entusiasmo ma anche un po’ troppo in solitudine. Alla fine accetto un’offerta che mi arriva da Trento e divento designer a tempo pieno. Avevo anche una docenza a Firenze, dove mi recavo ogni settimana. Anche grazie a questo ho conosciuto quella che poi sarebbe diventata mia moglie, anche lei musicista, in Stazione a Bologna, dove avevamo la stessa coincidenza di treni! Abbiamo vissuto quattro anni a Trento e nel frattempo mi sono iscritto anche al Conservatorio di Bolzano, per laurearmi proprio in musica elettronica.»

Trento, però, è città da primato per quanto riguarda la qualità della vita, ma un po’ limitante per gli orizzonti di Pedrazzi e la sua compagna. E così decidono insieme di partire e puntano il dito verso la capitale tedesca. Perché? Innanzitutto Pedrazzi aveva conosciuto Berlino a causa di un festival chiamato Transmediale, che si svolge ogni anno nel periodo gennaio-febbraio, dalla dimensione particolarmente apprezzata. Conferenze e incontri accademici si alternano a concerti techno nei club e a performance sperimentali, con musicisti che usano qualsiasi mezzo per suonare. «È un festival tipicamente berlinese, per questa sua facilità di unire vari livelli. In Italia non mancano i festival di musica elettronica e sperimentale (io ero affezionato spettatore di Angelica, a Bologna), ma forse non ci si trova la stessa commistione di generi che trovo invece nella capitale tedesca.»

A Berlino, inoltre, esistono molti studi di design di rilievo internazionale. Il luogo ideale per Pedrazzi per trovare la propria dimensione, professionale e umana.Arrivato a Berlino subisce il più classico degli shock culturali. La lingua è ostica e integrarsi con i tedeschi, all’inizio, è stato più complicato di quanto immaginato. «Abbiamo avuto la fortuna di trovare casa con dei ragazzi portoghesi che erano già lì da un po’ e che gestivano una sorta di centro culturale. E così, prima ancora di cominciare a lavorare, ho fatto proprio lì il mio primo concerto tedesco.»

E così comincia l’avventura musicale di Bob Meanza, che da allora frequenta assiduamente, da protagonista, la scena musicale berlinese. Decine e decine di concerti, molti in piccoli club o in modalità house performing, ma anche in teatro o davanti a platee numerose. E poi c’è stata anche la partecipazione al Transmediale, che ha permesso a Michele di coronare un piccolo sogno. «Il mondo dell’improvvisazione berlinese si sviluppa anche in posti strani, in serate con musicisti che non conosci. Potrebbero sembrare delle semplici jam, ma c’è sotto una ricerca costante, nello sperimentare nuovi organici, nuovi strumenti (o non strumenti) e soprattutto un linguaggio musicale, affascinante e ineffabile, in costante ridefinizione. A livello di amicizie, qui ho persone care di ogni provenienza, ma ho finito per frequentare in gran parte italiani. E poi noto un pattern: tra gli stranieri mi rimangono appiccicati portoghesi, spagnoli, greci… sarà qualcosa di mediterraneo che ci unisce. I tedeschi? Sono persone in cui in realtà mi riconosco molto. Ho in particolare ammirazione per questo loro rispetto del bene comune, delle regole, del valore del condividere. Il verde è considerato quasi sacro, ma anche il rispetto dell’artista ha un che di religioso. Ai concerti il silenzio prima di iniziare la performance è quasi irreale. Nel complesso è una dimensione è davvero bella.»

Foto di Gianluca De Santi

Tornare a Verona? Bella domanda, si dice in questi casi. A Berlino, per molti aspetti, Pedrazzi ha trovato la sua città ideale. Anche se poi, col tempo, le cose cambiano e l’arrivo di due figlie, una dopo l’altra, potrebbe cambiare un po’ le prospettive: «Negli anni è mutato anche il mio rapporto con la città, che ovviamente diventa più complesso con l’allargarsi della famiglia. Se imparare il tedesco all’inizio era, in fondo, una bella sfida, ora ce ne sono di nuove che coinvolgono tutta la famiglia e ovviamente mi faccio delle domande. Mi chiedo dove mi porterà Berlino ora senza una vera rete familiare e come devo educare le mie figlie, se secondo il modello tedesco o quello italiano. Vedremo… ma in fondo anche qui c’è una specie di ricerca, una costante ridefinizione. In fondo, siamo venuti qui per questo!».