Verona, nel mondo, è conosciuta per Romeo e Giulietta, i mercatini, i concerti in Arena. Un’immagine di cartolina, con tutti i suoi limiti. A voler vedere con più attenzione, però, la città e il territorio possono offrire molti altri punti di interesse e di attrazione per il turista: questi luoghi, nascosti o periferici, avrebbero il pregio di spostare da un centro saturo flussi di turisti evoluti che potrebbero, così, scoprire le ricchezze del territorio e rilanciare la percezione della città oltre i soliti e usurati cliché.

Ci vorrebbero, però, le risorse pubbliche che, spesso, non ci sono. Ecco dunque come l’iniziativa personale e il volontariato suppliscano spesso alle mancanze della pubblica amministrazione, riaprendo alla comunità e al turismo luoghi unici al mondo come l’Ipogeo di Santa Maria in Stelle, nella periferia est di Verona. Un sito straordinario: in un acquedotto romano sotterraneo, già in epoca tardoromana, è stato ricavato un luogo di culto, visitato da san Zeno, che può vantare un ciclo di affreschi paleocristiani tra i più antichi al mondo. Ne parliamo con Claudia Annechini, che ne ha permesso la riapertura, anche per dare uno sguardo alla situazione della periferia veronese. Annechini è professoressa a contratto di Psicologia dell’arte presso l’Università di Verona, formatrice e consulente specializzata in Museum and Visitor Studies, una corrente disciplinare di matrice anglosassone che indaga le dinamiche soggiacenti alla fruizione museale.

Claudia, spiegaci meglio in cosa consiste il tuo lavoro?

«In particolare, mi interesso agli aspetti psicologici e pedagogici della mediazione tra contenuti e pubblico, in un’ottica di sviluppo del flusso di visita e differenziatone dei servizi, quello che oggi viene conosciuto con il termine di Audience Development. Personalmente, credo di essere una trentenne rappresentativa della mia generazione: viaggiatrice legata al Paese d’origine, studentessa e lavoratrice pendolare tra Italia ed estero per essere competitiva e sfuggire al precariato italiano; da ultimo, coordinatrice volontaria dei Giovani Volontari Ipogeo (GVI).»

Cos’è l’associazione Ipogeo?

«L’Ipogeo di Santa Maria in Stelle è un’iniziativa locale di valorizzazione, promozione e tutela di un sito archeologico paleocristiano di enorme valore storico-artistico. Non è portata avanti da un’associazione, ma da un comitato parrocchiale, i Giovani Volontari Ipogeo, costituitosi nel gennaio 2017, che in futuro potrebbe diventare un’associazione culturale autonoma dal punto di vista economico, sempre però facendo a capo all’ente proprietario del sito Ipogeo, la parrocchia di Santa Maria Assunta. Questo per noi è un anno pilota: il 2018 si è chiuso con i primi sei mesi di attività ufficiale dell’Ipogeo e il bilancio e più che positivo.»

Come mai tanto attaccamento al tuo territorio?

«Viaggiando freneticamente tra una città e l’altra in cerca di occasioni di crescita in ambienti museali nazionali e internazionali, strutturati come grandi aziende, non so spiegare come mai mi sia decisa a dedicarmi a un sito archeologico situato nel mio Paese d’origine, un piccolo borgo nella campagna veronese di 1.500 abitanti. Mi sono sempre molto identificata in esso, e a un certo punto mi è parso che ci fosse un potenziale inespresso. Anche se il sito era già seguito da molti anni con amorevole cura dall’ingegner Antolini, massimo esperto al riguardo, rimaneva però chiuso e senza qualcuno che ne prendesse in carico gli aspetti onerosi della riapertura. Inoltre, il mio entusiasmo ha incontrato subito quello di giovani coetanei, e la prima cosa che abbiamo fatto assieme, il giorno che ci siamo riuniti, è stata una passeggiata in collina tra gli ulivi antistanti il paese. Questo episodio mi ha fatto capire che l’identificazione con Santa Maria in Stelle non era solo mia, ma di molti, e mi ha sempre fatto pensare a una citazione di Cesare Pavese ne La luna e il falò: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.»

In Pavese c’è, però, l’impossibilità per il protagonista di riprendere un contatto profondo con il mondo che ha lasciato, una sorta di limbo esistenziale aggravato dalla diffidenza dei paesani che considerano l’emigrato come un “morto”. Ti ritrovi anche in questo?

«Premesso che mi auguro che nessuno mi consideri o mi abbia mai considerato come “morta”, credo che proprio vivendo si possa dimostrare che c’è molta fluidità sociale, territoriale e intellettuale nel mondo contemporaneo, per cui è possibile essere comunque “presenti” in molti modi anche senza essere “fissi”. Credo poi che l’Ipogeo possa essere un forte motore di dialogo intergenerazionale: eventuali diffidenti riguardo a idee nuove possano cambiare atteggiamento nel momento in cui si parla di giovani che in ottica paesana diventano i propri figli, nipoti…»

Come hai creato questa associazione?

«All’inizio ho sbattuto la testa contro molti muri: so di essere una persona visionaria e, in parte, giustifico le risposte caute avute da chi mi vedeva per la prima volta, giovane, donna e con progetto dettato dall’esperienza, ma più che altro dall’entusiasmo. Ho ricevuto molta più fiducia dai singoli che dalle istituzioni, che spesso vanno dritte agli ostacoli burocratici. Ho sempre detto che l’Ipogeo doveva attrarre ognuno per degli interessi personali e ognuno dovesse portare avanti solo le cose che per passione, formazione o professione gli interessavano. Questo perché, soprattutto per chi è volontario, la motivazione è tutto. In questo modo credo che ognuno abbia creato un legame personale con l’iniziativa sostenuto da ragioni profonde e dato un apporto personale. O perlomeno mi auguro che sia così: cultura è partecipazione, circolarità di conoscenze e competenze.»

Qual è stata la risposta in termini di partecipazione di volontari? 

«Premesso che la categoria dei volontari di Ipogeo è un insieme molto fluido e sempre in via di definizione, abbiamo due tipi di adesione: il team di gestione, composto da ragazzi tra i 17 e i 30 anni, che si occupa degli aspetti gestionali, organizzativi e fa capo a delle azioni più o meno specifiche: fruizione, comunicazione, ambiente, educazione. E poi il preziosissimo team di guide: persone che lavorano per lo più nell’ambito della formazione e che sono arrivate all’Ipogeo per passione. Tutti sono coinvolti, in base alla loro disponibilità, in un percorso di formazione continua che conta tre appuntamenti annuali (quest’anno Social Media, Lingua inglese e Team working) e una conferenza Formazione Guide Ipogeo. In questo modo si cresce assieme e si costruisce un servizio di visita del sito sempre aggiornato e coerente con una visione giovane e al passo che le tendenze turistiche contemporanee.»

E quella in termini di afflusso di “curiosi”? 

«Inizialmente siamo stati letteralmente sommersi dalle richieste di visita, tanto che è ancora necessario prenotare con circa tre settimane di anticipo. Ma un imperativo si è subito a noi delineato chiaramente: rieducare il nostro pubblico. Il sito, dopo essere stato chiuso per 15 anni, ha riaperto con delle modalità del tutto diverse: sostenibili e limitate. Renderlo accessibile ha significato tutelare gli affreschi interni dai processi di umidificazione e calcificazione: è possibile l’accesso per cinque persone ogni ora e per non più di 20 minuti, con un massimo di venti al giorno. Da qui lo sgomento di chi era abituato diversamente e l’inattesa difficoltà di far capire che l’Ipogeo è un’esperienza che punta sulla qualità e non la quantità. Oggi educhiamo il pubblico alla consapevolezza della fragilità della bellezza e al fatto che scendere all’Ipogeo, così come hanno fatto nella storia i primi cristiani, i vescovi, Papa Urbano III, viaggiatori e restauratori, sia un privilegio. Li invitiamo invitiamo, così, a costruire con noi, a poco a poco, di anno in anno, un’immagine sempre più complessa ed esaustiva del sito, tornando a trovarci o partecipando ai nostri incontri di formazione che sono sempre aperti a tutti. A oggi, contiamo una decina di Giovani Volontari Ipogeo e una ventina di Guide Ipogee; nonostante i vincoli, in sei mesi abbiamo accolto circa 900 visitatori in 45 giornate.»

Che idea ti sei fatta dell’associazionismo, qui a Verona?

«Secondo me l’associazionismo a Verona, soprattutto negli ultimi anni, abbia da offrire moltissimo alla città, supplendo anche alle realtà istituzionali con offerte di grande qualità, con proposte originali e d’avanguardia. Credo, però, che potrebbe esserci una maggiore sinergia tra pubblico e associazioni.»

C’è interesse da parte delle aziende? 

«Ho sondato un po’ il terreno in previsione della riapertura, nel momento in cui abbiamo cominciato a farci conoscere: ho riscontrato entusiasmo e disponibilità per eventuali sponsorizzazioni; alcune le abbiamo concretizzate. D’altra parte, abbiamo un sito archeologico, l’Ipogeo, che si vende da solo: è un bene talmente unico, originale e autentico che con un progetto di sviluppo ben impostato, può giovare moltissimo all’immagine delle aziende che vogliono avere un impatto sociale su ampia scala, di qualità e perché no, anche internazionale. Credo, perciò, che in futuro possano avviarsi percorsi collaborazione importanti tra la Parrocchia di Santa Maria Assunta e le aziende. Capisco che quest’affermazione suoni strana, ma una tutela onerosa come quella dell’Ipogeo non può ricadere esclusivamente su una parrocchia o su una comunità di persone. Neppure ora è così, perché i Giovani Volontari Ipogeo non ricadono in nessun modo sul bilancio parrocchiale e la parrocchia deve concentrare le proprie risorse economiche su altre priorità.»

Le difficoltà più grandi?

«Credo che il prossimo obbiettivo per l’Ipogeo rappresenti anche la sua sfida più grande: diventare un’entità amministrativa autonoma che permetta la richiesta e la gestione di fondi e la remunerazione di alcuni collaboratori. Come volontari, tutti noi facciamo quello che possiamo, ma il tempo è poco. Forse ci sono persone che vorrebbero o potrebbero dare di più, ma non ci sono le condizioni giuste. Ora abbiamo la porta di un sito archeologico di inestimabile valore che, nel fine settimana, si apre per offrire une esperienza estetica e spirituale impagabile ai suoi visitatori. Domani vorrei che ci fosse la porta di un ufficio che, in orario infrasettimanale, si aprisse stabilmente per esaudire richieste che al momento rifiutiamo: studenti dell’alternanza scuola lavoro, tirocinanti, tesisti, ricercatori, studiosi, biblisti, giornalisti, documentaristi… I giovani possono ravvivare una parrocchia che si sta svuotando e l’ipogeo può essere un moderno presidio di comunità come lo è stato in passato.»

Quali sono le prossime iniziative dell’associazione?

«Ogni anno ci concentriamo su un grande evento che coinvolga la comunità e il territorio. Quest’anno, in primavera, lanceremo una mappa per il trekking in collina. Nel 2018 abbiamo, infatti, finalizzato il finanziamento di un progetto ambientale con l’Assessorato alla Cultura e l’Ufficio del Turismo del Comune di Verona, secondo una mozione presentata dal consigliere Tommaso Ferrari. Trattasi di una mappa illustrata che promuove il trekking, in ottica ecoturistica, dei sentieri collinari limitrofi all’Ipogeo. È un’attività che noi proponiamo per incoraggiare le persone a raggiungerci a piedi e scoprire punti d’interesse naturalistico molto amati da noi locali, ma ancora poco conosciute da veronesi e turisti. Dopotutto l’Ipogeo si presume sia nato nel I sec. d. C. come acquedotto romano, per incanalare l’acqua di una delle sorgenti che nasce dalle nostre colline: mettere in relazione Ipogeo, elementi naturali e culturali del nostro territorio era un progetto che avevamo nel cassetto sin dal primo giorno. Per ritornare al Pavese, anche le strade battute, gli uliveti e le acque sorgive parlano di noi, i Giovani Volontari Ipogeo…»

Per chi volesse conoscere e visitare l’Ipogeo di Santa Maria in Stelle rimandiamo al sito ufficiale:
https://www.ipogeostelle.it/ e al canale youtube Ipogeo Stelle