«La divisa da pompiere? Quella no». A Matteo Salvini la scomunica gliel’hanno sbattuta in faccia i pompieri. E chi meglio di loro, se nella vita sono chiamati a spegnere focolai e bollori invadenti. Protezione Civile, Marina Militare, Polizia di Stato; chiedo: avrà indossato anche gli abiti del Corpo Forestale e dell’Areonautica Militare? Chiaritemi l’arcano, perché non ci dormo la notte. Si obietta che sia un modo per fare sentire il sostegno del ministro ai servitori dello Stato. Sarà, ma più di ogni altra cosa ci pare cinica propaganda di un ministro della repubblica che tracima nella sua onnivora brama di consenso. Più che una tigre, ci pare stia cavalcando un dinosauro nel Jurassic Park della politica italiana. Presto si divorerà anche i Tony e i Nelli, i Dibba e i Dima al pascolo pentastellato. Tempo al tempo…
Il leader della Lega è Ministro degli Interni, nonché Vicepresidente del Consiglio del cosiddetto Governo del cambiamento (domanda agli spin doctors: ma non si poteva coniare un’espressione un po’ più originale, vista l’assonanza con epiteti che sentiamo più o meno da cinquant’anni? Detto ciò, il cambiamento non dovrebbe partire dal linguaggio?). Ne ha una al giorno per tutto e per tutti: il «Ghe pensi mi» di berlusconiana memoria al confronto è un inno all’umiltà di un canto francescano. Non c’è argomento dove non metta il faccione e una battuta da bullo di periferia. Ama il calcio, ma non siamo mica tanto convinti che il calcio ami lui. Le sue scomposte entrate da terzinaccio vecchia maniera sono spesso a gamba tesa e fuori tempo. Sui prati domestici dello Stivale ha sinora trovato arbitri indulgenti e piuttosto parchi nell’estrazione dei cartellini. Gli permettono di sferrare impunemente le randellate. Ad esempio? Sulla ruspa che ha raso al suolo la villa dei Casamonica (benedetto sia il giorno, anche se sempre troppo tardi), c’era lui. A parte la propaganda della manfrina, magari la sfilata sarebbe spettata a qualche esponente della autorità locali anziché al Ministro degli Interni. Eppure la cosa è passata in cavalleria. Nessuno che gli abbia detto (alcuni lo avranno almeno pensato): «A Mattè, ma tu che c’entri. E mò fatte un po’ li cazzi tua ‘na bona volta e lasciace lavorà!».
Diversamente le cose vanno oltre il Brennero, dove almeno qualche severo stoccatore c’è. Salvini l’ha prima affrontato a muso duro ricoprendolo dei peggiori insulti, salvo poi calare le braghe e nascondersi dietro al povero Conte a Canossa dinanzi alla minaccia di procedura d’infrazione impartita da quelli di Bruxelles. Saranno pure cariatidi, ma non si scompongono di fronte agli spettacoli da operetta in arrivo dai palcoscenici della repubblichetta Cisalpina. Tanto basta per incassare il nostro appoggio. E allora che ti fa Salvini? Frequenta disinvolto i salotti di Visegrad, dove si aggirano fior di galantuomini. Auguri vivissimi. Affar suo? No, è affar nostro perché da quelle frequentazioni dipendono gli esiti della nostra politica estera, mai rimasta tanto isolata come oggi. Nel frattempo ha tenuto per diciotto lunghi giorni in ostaggio del mare quarantanove disperati che nessuno voleva – proprio ieri, il 9 gennaio, i migranti sono sbarcati a Malta –. Storie che si ripetono da quando siede sulla poltrona del Viminale. Col riciclo dei rifiuti siamo più solerti. Ed è tutto dire. Lui che ammicca agli ultrà della Curva Sud di San Siro, riunisce l’ennesimo tavolo inutile del calcio (sai che novità). Ed ecco allora che in merito ai buu razzisti negli stadi sostiene che non è il caso di sospendere le partite. Insieme ai sindaci per la storia legata alla chiusura dei porti, si profila pure la disobbedienza civile dei calciatori. Avremo domeniche senza tatuaggi e pallone? Oddio, che dolore… Benvenuti nell’Italia del cambiamento signori, quella dove tutto è del – e per il – popolo (che poi sia il primo a esser fatto fesso, non è che un dettaglio). Eppure finalmente qualcosa si muove. Evviva i pompieri.