Il generale Westmoreland, comandante in capo delle forze americane in Vietnam, probabilmente non si sarebbe mai immaginato che avrebbe avuto degli epigoni a Verona. Durante il conflitto nel Sud Est asiatico la sua strategia di controguerriglia prevedeva la realizzazione di villaggi fortificati nelle zone controllate dai viet-cong, che fungessero da basi dalle quali far partire azioni per controllare il territorio. In maniera inconsapevole la sedicente “destra radicale” a Verona sta attuando la medesima strategia per tentare di occupare il quartiere-simbolo del multiculturalismo della città, quella Veronetta che nell’immaginario della destra come della sinistra cittadine ha sempre rappresentato una sorta di Stalingrado multietnico e di sinistra, circondato da una marea reazionaria. Infatti, sia CasaPound, già da almeno un anno, sia Forza (vecchia eppur) Nuova, da pochi giorni, hanno deciso di aprire le loro sedi nel cuore del quartiere controllato dai viet-cong del multiculturalismo per “Westmorelandizzarlo”. Ciò ha suscitato le reazioni, altrettanto reazionarie, del gotha dell’archeologia politica della sinistra progressista di Verona, che si sono concretizzate in un rituale di esorcismo collettivo del pericolo (neo)fascista, con la messa in scena di un carnevale, nel quale si sono scimmiottati i rituali dell’esorcismo magico. Dimostrazione, semmai ve ne fosse bisogno, che la contrapposizione politica “amico-nemico” nel terzo millennio assomiglia di più al cabaret che non al duello. Contrapposizione che a ben guardare altro non è che una faida famigliare tra socialisti in camicia nera e socialisti in camicia rossa. Ovvero tra adepti (separati) della religione politica che ha ricevuto il maggior numero di smentite empiriche da quel fastidioso accidente che si suole definire “realtà”, ovverosia il socialismo.
Ma come la saggezza popolare insegna, dove ci sono due litiganti, c’è sempre un terzo che gode. E nel caso di Veronetta, il terzo che gode è il mercato immobiliare. Infatti, piaccia o meno ai socialisti in camicia rossa e a quelli in camicia nera, il mercato ha sempre ragione, pure quando ha torto. E il mercato riguardo al quartiere di Veronetta ci dice una cosa assai importante: i prezzi degli immobili sono praticamente allineati con quelli dei quartieri residenziali di pregio della città, uno tra tutti, Borgo Trento. In pratica, nei valori che il mercato immobiliare cittadino richiede per immobili all’interno dell’area non viene “scontato” nessun genere di degrado.
Perché, allora, la destra radicale “patriota” ha messo come target il quartiere della rive gauche della città, se la sua narrazione mainstream – ovverosia la diretta corrispondenza tra immigrazione e criminalità/degrado – è smentita dall’indicatore più affidabile che possa esistere, cioè la quantità di moneta che si è disposti a pagare per poter vivere nel quartiere? La risposta più superficiale potrebbe essere trovata nella volontà provocatoria di mettere in discussione l’equilibrio socioculturale che il quartiere in qualche modo pare aver acquisito, seppur non in maniera stabile. Ma a parere di chi scrive occorre adottare un punto di osservazione laterale. L’estrema destra veronese, nel voler radicarsi come un villaggio fortificato del generale Westmoreland nella Viet-Veronetta, cerca in primo luogo di giustificare la sua esistenza in contrapposizione al “nemico”. L’esperienza della destra radicale a Verona, al di là della rilevanza mediatica, è di nicchia. Traducendo: parliamo di 4 gatti in tutto. Essa inoltre condivide con i suoi fratellastri di sinistra la malattia del frazionismo. Del resto, parafrasando un motto di parte, le (comuni) radici non gelano…
Così, in una sorta di gioco alla scissione dell’atomo, essa è suddivisa in una miriade di gruppuscoli, da Christux Du a CasaPound, all’evocativo Fortezza Europa, fino all’everblack Forza Nuova. Nonostante tale opera di vaglio, la destra radicale non ha saputo proporre un’elaborazione teorica che si discosti da quella dei fratellastri di sinistra, se non aggiungendo all’ingrediente comune del socialismo l’avversione per gli immigrati e gender, che è il reale spartiacque tra la destra e la sinistra estreme. Questo è il motivo per il quale la destra radicale sarà sicuramente un fenomeno popolare come i suoi tribuni proclamano, ma di certo non è di massa. A maggior ragione se cerca di occupare i territori dell’ormai mainstream (e di conseguenza presto logora) narrazione sovranista, che movimenti sovranisti/populisti di massa, ormai divenuti istituzionali, stanno saldamente occupando senza lasciare spiragli per soggetti che sono detentori di brand di nicchia, tipo l’esplicita intolleranza razziale.
Quindi, come giustificare la propria esistenza se non in contrapposizione con il nemico per eccellenza, il proprio doppio, autentica immagine riflessa e distorta del Sé? Nel nostro caso, con la sinistra radicale? Questo è a parere di chi scrive il senso della ricerca anche fisica del contatto con l’altro, della discesa nelle terre nemiche per conquistarle. Ma al di là delle narrazioni, esiste la realtà, che è fatta di luoghi, persone, situazioni. Di mondi che stanno in equilibrio. E pure di prezzi degli immobili. E questa realtà ci dà un segnale molto forte: le contrapposizioni ideologiche sono superate dal tempo. E, forse, certe iniziative, proprio perché traggono linfa vitale dalla medesima contrapposizione che cercano, dovrebbero essere consegnate nell’oblio dell’insignificanza e dell’indifferenza.