Il dibattito urbanistico a Verona ha ricevuto una scossa importante nei giorni scorsi, alla presentazione dello Studio sulla valorizzazione economica e sociale di alcuni immobili situati nel centro storico di Verona, redatto per conto della Fondazione Cariverona dall’ex Magnifico Rettore dello IUAV di Venezia, il professor Marino Folin. È opportuno quindi dedicare un’attenzione particolare all’analisi di una proposta urbanistica, la quale nelle premesse si pone l’assai ambizioso obiettivo di invertire il trend che vede le funzioni di residenza primaria e quelle ad essa collegate venire espulse dal centro storico in favore di attività legate alla funzione turistica cosiddetta “mordi e fuggi”. Trend, quello che alla residenza sostituisce i B&B, che accomuna Verona a tutte le maggiori città turistiche.
Nel dettaglio il piano prevede che i sette immobili di proprietà della Fondazione siti nel centro storico di Verona, inutilizzati dopo il trasferimento delle attività bancarie nella nuova sede sita in Viale dell’Agricoltura, siano destinati a un mix di funzioni che va da quella museale, con la realizzazione di un ”museo laboratorio della città”, a quella dell’innovazione (fateci caso: ogni volta che si hanno degli spazi ove non si sa bene che metterci dentro, si destinano “all’innovazione”. Filosoficamente tutti i ripostigli delle case sono destinati all’innovazione). Fino a, e questo è il vero core business del masterplan, un centro congressi la cui mancanza in città ha tanto stupito il professor Folin, con relativo (rullo di tamburi) hotel di lusso. «Il centro deve uscire dall’isolamento a cui lo condanna un turismo povero, e riacquistare una sua dignità funzionale.» (Cit.). A questo punto, però, il cittadino comune digiuno delle più avanzate teorie dell’urbanistica si pone alcune domande. In primo luogo che cosa si esporrebbe in un ipotetico museo laboratorio della città? Manichini che ricostruiscono l’abbigliamento dei sindaci dalla sua fondazione in epoca preromana fino alle giacche a quadrotti di Tosi e alle polo di “the Firm” di Sboarina? E perché un centro congressi, attività che in genere nelle altre città si colloca nei pressi dei caselli autostradali con ampie possibilità di posteggi, mentre dal masterplan della fondazione viene previsto in un’area della città che contende con il catino dell’Arena la palma dell’irraggiungibilità, dovrebbe invertire il trend di espulsione dal centro delle funzioni residenziali in favore di quelle alberghiere? E ancora: per che cosa è stata utilizzata fino a ora la Gran Guardia, la quale, sia detto di passaggio, si trova direttamente adiacente ad ampi posteggi pubblici? La maggior parte della cittadinanza, me incluso, ha vissuto fino a ora nella ingenua convinzione che si trattasse di una sala congressi, in tale senso scoprire dal masterplan della fondazione che così non è, è stata una sorta di epifania negativa. Un’epifania nel tempo del nichilismo, ‘nzomma. O del surrealismo.
Magritte avrebbe potuto farne una riproduzione e scriverci sotto “Questa non è una sala convegni” avrebbe avuto ragione come con la pipa, non solo filosoficamente in questo caso. Ma soprattutto, perché un hotel di lusso come quello che il masterplan prevede di insediare all’interno dei palazzi in Via Forti dovrebbe fidelizzare i cittadini al centro di Verona? Una risposta si può forse leggere tra le righe dei commenti al piano dell’assessore all’urbanistica, la quale ritiene di somma utilità l’insediamento di un hotel da superricchi in centro a Verona, in quanto tra le altre cose questo potrebbe fornire in service le funzioni di sauna e spa agli alberghi che ne sono sprovvisti. Questa suggestione consegna alla nostra immaginazione schiere di turisti (e, speriamo, turiste) che si dirigono camminando per le strade del centro in ciabatte ed accappatoio verso l’hub del benessere posto negli ex palazzi Unicredit. Inoltre, getta una luce nuova su di una proposta lanciata anni fa da un allora consigliere comunale noto per le sue idee originali e innovative, ma non sempre adeguatamente comprese: quella della copertura di via Mazzini. Tale proposta, che se realizzata garantirebbe l’accessibilità all’hub del benessere con ogni situazione climatica da parte dei turisti ricchi (e delle turiste), che così potrebbero arrivarci già attrezzati allo spaparanzo in acqua, fu a suo tempo troppo sbrigativamente liquidata come fantasiosa, ma evidentemente chi la fece all’epoca era bene informato riguardo a qualcosa che solo ora noi apprendiamo. Quindi possiamo immaginare come il vedere schiere di turiste ricche, presumibilmente gnocche, in accappatoio o vestaglia dirigersi per il centro verso l’hub del benessere possa essere la vera plusvalenza che convincerà i veronesi a investire i loro risparmi in una gigantesca operazione di riconversione urbana. Come salmoni, i veronesi nuoteranno controcorrente rispetto al trend finanziario e urbanistico, per gettar l’occhio alle turiste scosciate in accappatoio. Praticamente il voyerismo come strategia di evoluzione urbana. Noi, personalmente, sull’utilità sociale del voyerismo non avevamo dubbi nemmeno prima. Chi invece ha manifestato qualche dubbio sull’operazione è stato il PD cittadino, il quale nelle sue dichiarazioni ha detto che l’hotel per i super ricchi va bene, basta che ci sia pure uno spazio per un ostello. Come dire, “si va bene le Louboutin, ma ci vogliono anche un po’ di sandali da frate, magari con le calze verdi pisello”. E l’onore di Marx e del materialismo storico è salvo anche questa volta.