Stein Rokkan, uno dei maggiori politologi del XX secolo, pone la nascita dei partiti moderni tra il XIX e il XX secolo, al sorgere della “politica di massa”. Secondo la sua teoria essi si collocano a cavallo delle linee di frattura (le cosiddette “Cleavages”) generate dalle due più importanti rivoluzioni dell’età moderna: la Rivoluzione Nazionale e quella Industriale.
La Rivoluzione Nazionale ha generato le fratture “centro-periferia” e “Chiesa-Stato”, mentre quella Industriale le fratture “interessi industriali-interessi agrari” e “capitale-lavoro”. Tutti i partiti del Novecento si attestano su queste linee di frattura. Tipici esempi quelli comunisti che sono generati dalla “Cleavage” “capitale-lavoro”.
Il populismo, l’ospite inquietante della politica del XIX secolo, apparentemente mette in crisi l’interpretazione di Rokkan. Infatti, nella narrazione mainstream più che dalle fratture “classiche” della teoria di Rokkan, il populismo pare affiorare da una frattura tra masse ed élite. Dobbiamo quindi aggiungere una ulteriore categoria alle quattro già individuate dal politologo norvegese?
Le recenti evoluzioni e affermazioni del populismo in essere in Occidente ci aiutano a chiarire i termini della questione.
Una carta della distribuzione del voto pro Brexit nell’arcipelago britannico ci restituisce l’immagine perfetta della sovrapposizione di differenti spaccature: “capitale-lavoro” e “centro-periferia” prima di tutte, con il voto “pro leave” concentrato fuori dalle città e nelle aree più depresse e al contrario il voto “pro remain” arroccato all’interno delle zone più ricche nel perimetro urbano delle città principali, come in una fortezza assediata.
Se volgiamo lo sguardo oltre oceano possiamo constatare come Trump abbia i sui bacini elettorali nella “pancia” della provincia americana, anche se questa a parere di chi scrive non è la sua peculiarità, che invece va ricercata nell’essere il primo presidente che, in un Paese ove a tutti i livelli vige la convinzione che chi fallisce sia responsabile dei propri fallimenti, è riuscito con la sua retorica dei “forgotten men” a utilizzare il risentimento sociale come strumento per la mobilitazione del consenso. Nella narrazione di Trump gli esclusi non sono responsabili dei loro fallimenti ma vittime di una élite che li defrauda, e nell’uso di tale retorica risulta molto europeo.
Il movimento dei “gilet gialli” che in queste settimane sta scuotendo la Francia è fortemente radicato nella provincia. Vero e proprio fenomeno di jaquerie del quale è difficile cogliere programmi e capi, più che un movimento organizzato, appare come un coacervo di gruppi dai programmi contraddittori, che trovano il loro minimo comun denominatore nella “protesta” contro le élite. E che se osservato con gli strumenti concettuali che ci fornisce Rokkan si colloca perfettamente nel solco della frattura “centro-periferia”.
Gli esempi fin qui portati ci autorizzano a pensare l’emergere del populismo non come una smentita degli assunti di Rokkan, bensì come un loro corollario, essendo esso generato da più fratture tra quelle da lui individuate, sovrapposte le une alle altre come il layer del disegno informatizzato.
Ma come mai in Francia il partito anti establishment per eccellenza, quello che della rivolta del popolo contro le elite ha fatto strumento di mobilitazione del consenso, ovverosia il FN, per ora pare subire gli avvenimenti come il resto dei partiti francesi?
La risposta forse si può trovare in quella che è la vera benzina che fa girare il motore del populismo in tutto l’occidente, cioè il risentimento sociale degli strati più bassi della società esclusi dai processi ascendenti di mobilità, che si autorappresentano come la totalità del popolo in contrapposizione alle élite, che invece ne vengono percepite come estranee. In questo senso il nucleo del populismo è una teodicea della sofferenza” secolarizzata, per la quale una massa disagiata, che si ritiene defraudata, rivendica il suo disagio come elemento di merito in vista della futura liberazione. Praticamente il programma di M5S, anche se i militanti ed elettori di tale formazione politica non lo sanno.
In passato questa tensione sarebbe stata assorbita dai “corpi intermedi”, i partiti tradizionali, probabilmente sorti dalla Cleavage “capitale-lavoro”. Oggi, dopo i contemporanei processi di erosione dei corpi intermedi e di critica delle ideologie che li sottendevano, ciò non è più possibile. Le tecnologie digitali, inoltre, hanno dato l’illusione alle masse che sia possibile una completa identità tra rappresentante e rappresentato.
Ma anche quando esso va al governo il populismo non è in grado di risolvere nessuna delle contraddizioni da cui è sorto. La prevedibilissima parabola del governo populista attualmente in carica in Italia lo testimonierà in futuro, quando i suoi ingenui proclami di “aver abolito la povertà” troveranno dolorose smentite nel Reale. Smentite che probabilmente polverizzeranno i movimenti populisti attualmente egemoni. L’età del consenso volatile e “liquido” non farà sconti nemmeno a loro. A questo punto sorgerà un problema, che probabilmente la Francia di oggi ci anticipa, ovverosia che il risentimento sociale non finisce con la crisi dei movimenti che lo incarnano, ma – continuando a vivere di vita propria – trasmigra in un altro corpo. E qui torniamo alla domanda che ci siamo posti in precedenza: perché i movimenti populisti “tradizionali” in Francia non sono riusciti a far da veicolo al risentimento sociale dei “gilet gialli”? Forse la spiegazione va ricercata nel fatto che il loro risentimento ha già superato il meridiano zero, andando oltre la rappresentanza tradizionale ormai percepita come inadeguata e diventando una sorta di populismo senza partito, che ha come unico fine di fatto la protesta e del quale oggi è veramente difficile seguire le vicende senza apprensione per il destino della società come la conosciamo.