Mercoledì 5 dicembre a Verona la cronaca locale riportava a grandi caratteri l’esito di un controllo a sorpresa della Polizia sui bus scolastici: 346 identificati e svariati chili di droga sequestrati ai giovani studenti. Evidente l’orgoglio delle forze dell’ordine e la promessa di un ancora più incisivo impegno repressivo. Orgoglio giustificato? Dagli esiti dell’operazione parrebbe di sì. E mentre dall’altra parte dell’Atlantico, negli Stati Uniti, alla sbarra c’è nientepopodimeno che El Chapo, ovvero il Pablo Escobar dei giorni nostri, la Polizia di Verona controlla i bus e, ogni tanto, manda i cani nelle scuole a caccia di sostanze psicotrope. L’annuncio trionfante, però, nasconde un dato fondamentale, ovvero l’impatto che hanno questo tipo di operazioni sulla diffusione della droga tra i giovani e la valutazione dell’effetto deterrente. Il perché dell’omissione è lapalissiano: sono i numeri di una sconfitta.
Secondo la Relazione Europea sulla Droga 2018, un italiano su 3 ha o ha avuto esperienza di cannabis, uno su 5 nell’ultimo anno: il 20% tra la popolazione scolastica. I numeri dicono che in l’Europa l’età media del primo consumo di cannabis è 16 anni, l’84% maschi (statistiche rilevate da chi si sottopone a trattamento di disintossicazione). L’analisi delle acque reflue indica anche che nel nord Italia è ben radicato e diffuso in modo omogeneo il consumo di cocaina, ma è una droga che attira una fascia di età più matura.
Ed ecco allora l’azione contrastiva delle forze dell’ordine italiane che – tolti i Paesi crocevia e di snodo come Turchia, Belgio e pochi altri – vanta volumi di sequestri imponenti; e, si presuppone, con un conseguente effetto deterrente. Ma i giovani non leggono i quotidiani e la loro solidarietà non è certo per la polizia quanto tesa a difendere il proprio mondo e le proprie abitudini: mentre i cani setacciavano gli autobus, gli studenti si allertavano su Whatsapp e facevano quadrato.
Già nel 2012 Bill Clinton ammetteva che la guerra alla droga aveva fallito. Tuttavia, la disfatta sostanziale della strategia repressiva non vuole qui essere pretesto per una semplice politica di legalizzazione. Avrebbe certo un forte impatto sul crimine e sull’effetto fascinatorio delle sostanze: i dati del Colorado, che ha legalizzato la cannabis, hanno mostrato un aumento del gettito fiscale e una sostanziale stabilità del consumo tra i più giovani.
Quindi, reprimere? O legalizzare?
In realtà il dibattito risulta sterile per un’impostazione bipolare, tra una repressione che nei fatti ha già perso e una legalizzazione che potrebbe appiattirsi sul solo aspetto economico e di contenimento, come già accade per l’abuso di l’alcol e medicinali con effetti psicotropi che continuano a rimanere allarmi sociali.
C’è un’altra domanda che aspetta risposta, una domanda che alimenta la richiesta di sostanza: da dove scaturisce questo bisogno dei nostri giovani studenti di anestetizzarsi?
Proviamo a guardarli. Godono di libertà, di possibilità di fatto ma certo non di diritto. Fino a 16 anni non possono uscire da soli da scuola, non potrebbero lavorare, non potrebbero fare sesso. Paradossalmente, potrebbero essere madri o padri ma non andarsene a casa da soli. I maschi, soprattutto, sembrerebbero aver bisogno quasi di narcotizzare il loro bisogno di un’espressione libera, irrazionale, anche violenta, che è diventata socialmente riprovevole o sfogata nello sport o attraverso l’utilizzo di videogiochi. Per il ragazzo che non si isola in casa come i giovani giapponesi detti hikikomori, che nel ritiro nelle mura domestiche esplicitano il rifiuto della società, appare evidente che là fuori le prospettive sociali sono ridotte: lo attendono al varco una società anziana, priva di un efficace ascensore sociale; il modello di persona che la scuola gli propone è novecentesco e, nella sostanza, conflittuale con il modello consumistico ed edonista dell’Europa occidentale. È, probabilmente, una richiesta di senso inappagata.
Il fenomeno della droga tra i nostri studenti si può dunque contrastare o contenere, ma non si risolve finché non si offre loro una prospettiva credibile, un orizzonte desiderabile, un modello di società competitivo e solidale, diverso dall’attuale e da quello patriarcale dei nostri padri. Offerta che potrebbero naturalmente rifiutare, ma che come adulti siamo tenuti a proporre magari ritornando alla Politica con la P maiuscola, che non guardi in modo miope al solo oggi, ma che abbia il coraggio di disegnare il domani.
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