Duro e puro. Schietto e burbero quanto basta. «La terra in un bicchiere di vino» è il motto di un vigneron autentico come Graziano Prà. Il primo dei suoi comandamenti è il rispetto e la valorizzazione del territorio. Termini abusati se vogliamo dalla vulgata marchettara, ma poi quando si viene al dunque alla prova del banco d’assaggio, una preziosa rarità. In un panorama enologico di alto livello come quello attuale, ma che rischia di smarrirsi nella banalizzazione dell’appiattimento del gusto, quando incontri un viticoltore come lui ti senti un po’ come quel buon diavolo di Paolo sulla via di Damasco. Tanta è infatti la forza e la purezza del suo messaggio. Nella sua cantina di Monteforte d’Alpone il concetto di terroir è una sorta di mantra che ritrovi in ogni fase del ciclo produttivo, dalla vigna alla bottiglia. Il risultato si traduce in vini dalla spiccata tipicità ottenuta in virtù dell’esaltazione dei vitigni autoctoni, i veri testimoni del territorio. Graziano Prà ne è fiero custode, tanto aspro quanto intransigente nel porsi a baluardo senza compromessi sia in vigneto, condotto in agricoltura biologica, che in cantina dove le pratiche invasive non sono ammesse.
Di strada lo scapigliato Graziano ne ha fatta da quando, terminati gli studi in enologia a Conegliano, sul finire degli anni ’70 impresse all’azienda di famiglia la svolta e nel 1983 imbottigliò la prima bottiglia di Soave. Da quel giorno la sua ascesa è stata tanto costante quanto inarrestabile. Oggi i suoi vini sono etichette imprescindibili in ogni cantina che si rispetti. Sul suo Soave Monte Grande, il gioiello di casa, non ci sono ormai più aggettivi da spendere, tanto ne hanno scritto e lo hanno premiato le guide e le riviste specializzate di tutto il mondo. Ma c’è ora di più. Unica cantina del Veneto a potersi fregiare di un simile merito, da pochi giorni il suo Soave Otto 2017 è entrato nel salotto dei primi cento vini al mondo stilati da una “Bibbia” del settore come il magazine americano Wine Spectator: «Non me lo aspettavo. È stato un anno di grandi soddisfazioni per noi – racconta Graziano – Essere nel Top100 di Wine Spectator è una gioia incredibile. È un premio alla nostra costanza che dedico ai miei giovani collaboratori e alla mia famiglia».
Otto è un Soave, Garganega in purezza, vinificato a 16-18°C in serbatoi di acciaio. Nessun passaggio in legno. Dal colore giallo chiaro, sprigiona profumi floreali e colpisce al palato per la fresca mineralità e la decisa sapidità. Un vino che rispecchia fedelmente la filosofia di quest’uomo coerente, magari un po’ ruvido di primo acchito ma tenace e fedele ai propri principi. Per riassumere i cardini del suo pensiero, citiamo, come del resto lui stesso ama fare, quanto scritto da Wendell Berry, contadino del Kentucky, poeta e intellettuale indicato dal New York Times come profeta dell’America rurale: «…il produrre cibo è un atto gastronomico. Per essere fonte di piacere il cibo deve essere buono ma anche pulito e giusto: deve essere frutto di un’agricoltura sostenibile, rispettosa dell’ambiente e della dignità dei lavoratori. Quando compriamo il cibo scegliamo anche un modello agricolo. Si tratta di una questione fondamentale che determina il futuro del pianeta, la sua sopravvivenza o la sua distruzione». Basta questo. Un’ultima doverosa precisazione: forse quelli di Wine Spectator ancora non lo sanno, ma per la prima volta hanno inserito nell’alveo delle cento migliori etichette al mondo un cane: Otto è infatti l’inseparabile Border Collie di Graziano. Dove c’è uno c’è l’altro. Hanno vinto insieme. Bella storia. Ne scriveranno altre.