Quattro lustri dopo l’edizione torinese, le Olimpiadi potrebbero tornare in Italia. L’ipotesi è tutt’altro che remota: in un contesto mai verificatosi nella storia dei Giochi, nessuno pare voglia davvero organizzare l’edizione invernale del 2026. Tranne noi, suddivisi tra Lombardia e Veneto. La situazione è paradossale, al punto che la sede potrebbe essere determinata dall’assenza di concorrenti. Ad oggi ne sono rimaste teoricamente due: la traballante Stoccolma e, appunto, Milano con Cortina d’Ampezzo. Che appare l’unica candidata realmente attendibile.
Non nel mio giardino
Sono anni difficili per le cosiddette “opere di interesse pubblico”. In un periodo in cui il not in my backyard è il refrain, calare dall’alto la decisione di procedere, anche politicamente, non paga più, a prescindere dall’utilità sociale e i presunti benefici in rapporto agli investimenti. Con il rischio di essere rispediti al mittente, progetti di trafori, parcheggi sotterranei o discariche, al di là del valore dell’iniziativa, soprattutto se prevedono un costo reale a carico delle comunità non scappano dalla necessità di un confronto col più classico strumento di democrazia diretta: il referendum consultivo.
Nel caso dei Giochi Olimpici, nei tre Paesi in cui è stato chiesto il parere al popolo, l’indice di gradimento della possibilità di ospitare a casa propria l’edizione invernale 2026 è risultato essere in discesa libera, con i comitati organizzatori locali finiti sempre fuori pista. Con un paio di eccezioni. Anzi tre: Stoccolma e Milano più Cortina, appunto. Dove però nessuno si è ben guardato dal chiedere l’opinione a chi vive da quelle parti e, almeno in parzialmente, finanzierà l’evento.
A furor di popolo
Le Olimpiadi 2026 rischiano di stabilire un record mondiale: le prime da sempre a essere assegnate – ad altri – a furor di popolo. Chi si era proposto a prendersi carico dell’organizzazione se la sta dando a gambe levate. In origine erano sette
i Paesi potenzialmente concorrenti. Oggi si fatica ad arrivare a due. Si era partiti con Svizzera, Austria, Canada, Italia, Svezia, Giappone e Turchia. Poi Sapporo ha subito ripiegato le proprie velleità sull’edizione successiva (2030) e si è ritirata, mentre il Cio è stato rapido invece nel congedare Erzurum, il cui progetto era solo virtuale.
Tra le altre, c’è da dire che le candidature svizzere e austriache in origine erano doppie. A scegliere il da farsi (da parte) ci hanno pensato le comunità locali attraverso i referendum cantonali. A St. Moritz e Sion la possibilità di valutare budget, costi e impatto ambientale incrociati con i vantaggi, ovvero investire denaro pubblico in infrastrutture e accoglienza turistica, ha generato una risposta univoca: no, grazie. Nei Grigioni prima e nel Vallese poi la consultazione popolare ha interrotto ogni investimento: meglio tenere in tasca i propri Franchi. Idem in Austria, dove le urne hanno detto stop ai sogni olimpici. A dire il vero la votazione si è tenuta solo a Innsbruck, ma è bastata a influenzare la decisione di Graz. Fiutato il rischio di una figura barbina come in Tirolo, l’ente organizzatore ha preferito fare un passo indietro prima del tempo.
No Canada
Ultima a salutare la compagnia è stata Calgary. A inizio novembre i Nimby dell’Alberta hanno chiarito di non voler fare la fine dei connazionali francofoni del Québec. Il conto di Montréal 1976 è stato salatissimo. Debito complessivo di 1.6 miliardi di dollari canadesi, corruzione e scandali assortiti, oltre a un declino sociale della città durato quarant’anni. Troppo per generare invidia verso chi ha avuto la fortuna di ammirare dal vivo il meraviglioso “dieci” a cinque cerchi di Nadia Comaneci e ascoltare la regina Elisabetta dichiarare i Giochi ufficialmente aperti.
Il quadro svedese
A contendere a Milano/Cortina la candidatura resta dunque solo Stoccolma. Almeno in teoria. La Svezia è tecnicamente senza governo e l’amministrazione della capitale vive un periodo difficile. Come in Italia, neppure lì si è chiesto un parere alla gente del posto. Anche se qualche scrupolo deve essersi fatto largo nella testa dei partiti della strana coalizione che sta governando la città, che ha garantito che eventualmente i Giochi Olimpici non verranno finanziati dai fondi dei contribuenti. Se si aggiunge il dettaglio non insignificante che la candidatura non aveva ricevuto il sostegno dell’esecutivo, va da sé che a Gamla Stan non ci si vuole suicidare politicamente in un momento così delicato. Ovvero, non pare improbabile che a breve si assisterà ad una ritirata in buon ordine, lasciando a Milano onori e oneri.
Sogni e soldi
Milano, appunto. Con Cortina si appresta a inondare il Belpaese di neve e sogni di gloria. Forse anche di soldi, anche se non è ancora chiaro in quale direzione andranno e se saranno sufficienti. Dubbio pertinente, in una nazione in cui la gestione dei grandi e piccoli eventi negli ultimi trent’anni è apparsa tutt’altro che virtuosa. Per quanto Italia ’90 e i mondiali di nuoto romani del 2009 restino perle al negativo probabilmente inarrivabili, il rischio che le grandi manifestazioni nostrane possano trasformarsi in uno spreco di denaro è sempre dietro l’angolo. Comunque sia, per quanto nebulosa per il grande pubblico, la candidatura del capoluogo lombardo e il centro montano veneto più amato dai vip è ritenuta credibile e robusta dalle istituzioni.
Voto anch’io? No, tu no
Il prossimo 28 novembre a Tokyo Giovanni Malagò, presidente del Coni, Giuseppe Sala, sindaco di Milano, e Luca Zaia, governatore del Veneto, presenteranno la candidatura italiana all’assemblea dei comitati olimpici. L’ottimismo si incrocia con un rammarico: a chi in buona misura finanzierà il progetto (le tasche dei contribuenti) non è stata offerta l’opportunità di esprimere alcuna opinione. Come d’abitudine dalle nostre parti, anche questa volta la decisione è stata calata dall’alto, proprio come per l’Expo o la Pedemontana Veneta.
Come ben sapeva la buonanima di Marco Pannella, che la politica italiana non ami le consultazioni popolari è ben noto, così come il quorum funga da uscita d’emergenza quando tira brutta aria. Il paradosso è che stavolta, per le Olimpiadi lombardo-venete – e forse anche un po’ sudtirolesi – non è affatto detto che i votanti avrebbero bocciato il progetto. Tutt’altro. Spiegando bene impatti e vantaggi, con ogni probabilità ne avrebbe anzi rinforzato il gradimento – che esiste – e accreditato la candidatura che invece, messa giù così, rimanda ad un retrogusto d’imposizione con molti dubbi sulla sostenibilità. E magari avrebbe contribuito a rendere il nostro Paese un po’ più civile.
Paolo Sacchi