“Io so’ io…”. Il resto della frase, rivolta ad alcuni popolani da parte del celebre marchese interpretato da Alberto Sordi, lo conoscono tutti. Il personaggio dell’indimenticabile film di Mario Monicelli è una figura immortale. Nel Paese che fu anche quello delle Signorie e oggi è quello delle auto blu, sembra inscalfibile l’abitudine da parte di qualcuno di sentirsi ‘più uguale degli altri’. A parole ma anche nei fatti, compresi i momenti meno appropriati.
Come quando, raccontano gli storici, sul fronte di El Alamein gli ufficiali italiani beneficiavano di una mensa a parte in cui erano garantiti pastasciutta e vino, mentre Rommel e i generali tedeschi dividevano il rancio – pane nero e marmellata – con le proprie truppe. Insomma, cambiano i tempi e i contesti ma in Italia a dare l’esempio, almeno tra quelli che potrebbero, ci pensano in pochi.
Anche lo sport non è immune dall’antico vizio. In queste settimane riprende la Coppa Italia, una competizione il cui regolamento sembra fotografare le divisioni tra caste. Spieghiamoci meglio: ovunque nel mondo la coppa nazionale è sinonimo di uguaglianza, della possibilità per qualsiasi club di vincere la competizione sfidando alla pari i ‘fratelli maggiori’ delle serie superiori.
Partire alla pari
Non mancano gli esempi: solo quattro anni fa nella gloriosa FA Cup inglese tre delle quattro semifinaliste militavano nella Serie B locale; nella scorsa edizione della finale di Coupe de France sono usciti sconfitti con grande onore i dilettanti del Quevilly. Questo è il bello di una competizione che per antonomasia offre a chiunque la possibilità di partire alla pari e arrivare fino in fondo.
Per dirla tutta: ovunque i sorteggi degli accoppiamenti sono effettuati senza ‘teste di serie’ o vantaggi particolari, se non come in Svizzera e Germania le formazioni più deboli godono del fattore campo a favore nella fase iniziale. Le squadre dei massimi campionati entrano in gioco già dai primi turni senza benefici o privilegi negli accoppiamenti. Ovvero, ai 32esimi di finale è possibile – è già accaduto – che il Chelsea trovi il Manchester United sul suo cammino, oppure di vedere Balotelli e i compagni del City doversi andare a conquistare la qualificazione a casa di un club dilettantistico.
Non in Italia
In Italia no, ci mancherebbe. Proprio come è improbabile accedere ad alcune professioni per il popolino, per i piccoli club nostrani la finale della Coppa Italia è un miraggio. Con un regolamento unico nel suo genere, le grandi squadre beneficiano di un lasciapassare che le porta direttamente agli ottavi di finale, senza neppur permettere la soddisfazione alle piccole di averle sfidate. In più, se si è Roma o Lazio, con la fortuna di trovarsi il “campo neutro” direttamente a casa propria. Si dice spesso che il calcio sia uno specchio del Paese. La Coppa Italia di certo ne è tra le versioni più sublimi.