La recente strage di Paderno Dugnano e l’omicidio di Sharon Verzeni hanno destato grande clamore, soprattutto per il fatto di essere stati commessi apparentemente senza un chiaro movente. Solo le indagini e le valutazioni psichiatriche potranno fare luce sulle dinamiche di questi due tragici eventi. Tuttavia, già emergono speculazioni e congetture, spesso alimentate da “criminologi dell’ultimo minuto”, che inevitabilmente hanno riacceso il dibattito sul cosiddetto vizio di mente. Al momento presente è doveroso evitare aleatorie congetture su cosa sia successo. Di fronte al riemergere di tale dibattito è però opportuno chiarire il concetto giuridico-psichiatrico di incapacità di intendere e di volere.

Innanzitutto, è bene premettere che, da un punto di vista psichiatrico e forense, l’efferatezza dell’omicidio o lo scalpore generato, non sono condizione necessaria né sufficiente per dichiarare il reo infermo di mente o incapace di intendere e di volere.

Questo malinteso lo troviamo in particolare nel contesto di femminicidi, quando in molte notizie di cronaca compare la parola “raptus” omicida. Termine usato con l’intendo di designare una perdita di controllo di una persona che sembrava apparentemente “normale” (qualunque cosa possa significare essere normale!). C’è solo un problema: il concetto di “raptus” in psichiatria forense non esiste! E il carnefice ha perso sì il controllo, ma non delle sue azioni, bensì il controllo che esercitava sulla vittima e, non potendo tollerare la perdita, la uccide.

Dal punto di vista giuridico, una persona è punibile solo se imputabile, cioè se possedeva la capacità di intendere e di volere al momento dei fatti (art. 85 c.p.). Quando l’autore di reato risulta non imputabile, non decade però la sua responsabilità. Deve infatti rispondere sempre e comunque al sistema sociale, mediante l’applicazione di misure di sicurezza detentive o non detentive che prevedono un percorso di cura.

La capacità di intendere si riferisce all’abilità di comprendere il valore o disvalore delle proprie azioni, mentre la capacità di volere riguarda la facoltà di autodeterminarsi nel compiere o evitare una determinata azione.

Le perizie psichiatriche, nella fase di cognizione del processo, hanno il compito di accertare se queste capacità fossero presenti al momento del fatto, ricostruendo gli eventi a posteriori. Se entrambe le capacità risultano assenti, si parla di vizio totale di mente (art. 88 c.p.); se una delle due capacità è parzialmente conservata, si ha il vizio parziale (art. 89 c.p.).

Ma quali sono le condizioni nelle quali viene meno la capacità di intendere e di volere? Secondo il nostro ordinamento giudiziario, le cause principali sono:

  1. Intossicazione acuta da alcol o stupefacenti (artt. 91 e 93 c.p.);
  2. Incapacità indotta da altri (art. 86 c.p.);
  3. Presenza di un quadro di infermità mentale (artt. 85, 88 e 89 c.p.);
  4. Immaturità del minore di età compresa tra i 14 e i 18 anni (art. 98 c.p.).
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Mentre la quarta categoria richiede una valutazione della maturità psicosociale del reo, i primi tre casi necessitano di una valutazione psichiatrica per determinare la presenza di un’infermità mentale. Di conseguenza, nel caso del diciassettenne accusato della strage di Paderno Dugnano, gli eventuali accertamenti psichiatrici prenderanno una strada diversa da quelli che potrebbero essere fatti nel caso dell’uomo imputato dell’omicidio di Sharon Verzeni.

È importante sottolineare che avere un disturbo mentale non significa automaticamente essere incapaci di intendere e di volere. È quindi errato stabilire una corrispondenza diretta tra malattia mentale e incapacità di intendere e di volere. È sempre necessario contestualizzare il disturbo in relazione al crimine imputato.

A conferma di ciò, si ricorda che la maggior parte delle persone affette da disturbi psichiatrici non costituisce un pericolo per la società.

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